Una verità da laboratorio associata alla morte di Donato Bergamini. È quella che si fa largo sempre di più sulla scena del processo contro Isabella Internò, l’ex fidanzata del calciatore del Cosenza investito da un camion a Roseto Capo Spulico il 18 novembre del 1989. L’udienza di tre giorni fa, infatti, è servita a riaffermare il primato della medicina legale nell’inchiesta che, riaperta nel 2017 dopo una precedente archiviazione, punta a dimostrare che quello di Denis non fu un suicidio, bensì un omicidio. Sul banco dei testimoni ha preso posto il professor Vittorio Fineschi, ordinario di Medicina legale alla Sapienza e docente plurititolato, ovvero l’uomo al quale più di altri si deve la ripartenza investigativa. È lui che nel 2016 firma il parere “pro veritate” nel quale suggerisce il ricorso a tecniche immunoistochimiche di ultima generazione per far luce sull’accaduto, e all’epoca è questa la “nuova prova” che consente alle indagini di ripartire, passando proprio dalla riesumazione del corpo dell’atleta. In seguito Fineschi non prenderà parte alle fasi della seconda autopsia e malgrado non figuri come consulente di alcuna fra le parti in causa, la Procura ha inteso convocarlo in aula un po’ come “padre nobile” dell’inchiesta. A seguire è arrivata l’ora di Roberto Testi e Giorgio Bolino, altri due master della medicina legale, già autori fra il 2011 e il 2013 di tre perizie (due individuali e una collegiale) commissionate loro nell’ambito della precedente inchiesta. In quegli elaborati anche loro esploravano il tema del soffocamento e della vitalità delle lesioni. Parlavano di quadro «suggestivo» che rimandava alle stesse conclusioni di Fineschi, ma con diverse avvertenze, messe nero su bianco specie nell’ultima perizia a doppia firma. L’enfisema? Potrebbe essere un effetto della putrefazione. L’assenza di sangue tipico nelle lesioni non vitali? Possibile conseguenza della copiosa perdita ematica causata dalla rottura dell’arteria iliaca di Bergamini. Entrambi sconsigliavano poi l’utilizzo della glicoforina e, più in generale, mettevano in guardia dai risultati che le pratiche immunoistochimiche avrebbero potuto offrire se applicate non su campioni di tessuto fresco, ma vecchi di ventisette anni come quelli in oggetto. Considerazioni che in buona parte i due specialisti hanno aggiornato dopo aver assistito all’audizione di Fineschi. Testi, in particolare, ha mostrato per lui una sorta di venerazione sublimata da un esempio tennistico: «Il suo curriculum è come quello di Federer», mentre Bolino ha giustificato le cautele e i toni poco perentori del passato «con la mancanza di strumenti e informazioni». In conclusione è stata sentita la professoressa Margherita Neri, consulente della Procura nelle fasi della seconda autopsia. Prossima udienza l’otto novembre. Sul banco dei testimoni è atteso l’ex boss Franco Pino.
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