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09 Novembre 2021 - 07:24
Alex Pompa e l'avvocato Claudio Strata dopo l'esame di maturità
«La reazione di Alex, sproporzionata, non sorregge la legittima difesa. Manca l’azione che determina la reazione. Il padre voleva scendere sotto casa quella sera. Ma la porta era chiusa a chiave. Giuseppe Pompa si comportava in maniera ingiustificabile, ma ha pagato con la vita. Una pena più alta di quella che avrebbe meritato». È uno dei passaggi della discussione del pm Alessandro Aghemo, che ieri ha chiesto 14 anni di carcere per Alex Pompa, lo studente di 20 anni (in foto insieme all’avvocato Claudio Strata) che uccise il padre il 30 aprile 2020 per difendere la madre dall’ennesima aggressione. Il magistrato si è detto «costretto» a proporre la pena e ha invitato la corte d’Assise (presieduta dalla giudice Alessandra Salvadori) a sollevare una questione di legittimità costituzionale sulla norma che impedisce di concedere la prevalenza delle numerose attenuanti. Ricordando che il padre «era l’artefice delle sofferenze del figlio», il pm ha ripercorso la dinamica della sera della tragedia, puntualizzando che: «Per spezzare la lama di un coltello nel corpo di una persona ci va una grande violenza. Anche il fratello Loris aveva tracce di sangue quella sera, e non lo aveva detto. Crediamo che anche Loris in qualche modo o in qualche forma in questa aggressione sia intervenuto, se no non si sarebbe fatto male».
«Nel corpo - ha proseguito Aghemo - venne trovata una lama di sette centimetri. Da parte del figlio c’era la piena e consapevole volontà di uccidere: furono 34 i colpi diretti inflitti, di cui 15 alla schiena e furono sei i coltelli usati perché non trovava quello giusto». Ricordando che, secondo i periti psichiatrici, nella mente di Alex Pompa ci sarebbe stata una «sopravvalutazione del pericolo e quindi la volontà di uccidere», il pm ha sottolineato due fattori: che non sarebbe provata la circostanza che il padre volesse ammazzare qualcuno con un coltello quella sera, e che, siccome la casa era chiusa a chiave, l’uomo non avrebbe avuto la possibilità di fuggire. Quella sera Pompa, 52 anni, aveva aggredito per l’ennesima volta la moglie. «Credo che la lite - ha detto Aghemo - rientrasse purtroppo in una consuetudine di rapporti. Il padre beve un altro bicchiere di vino e dice ai figli “vi voglio fare a pezzi e buttare in un pozzo”. Poi prende la madre per un braccio e la spinge. Alex interviene per difenderla. Il padre voleva portare di sotto in strada Alex e il fratello perché li voleva picchiare. Indossava le scarpe». La colluttazione, secondo la ricostruzione del pubblico ministero, inizia in cucina. «Resta dubbia - ha dichiarato il pm - la volontà del padre di volere prendere un coltello. Non era ingestibile come altre volte. E i coltelli in cucina erano stati tolti dai figli che avevano paura che li usasse il padre». «Devono essere fatte poi - ha concluso il pm - delle considerazioni sull’attendibilità dei testimoni, che hanno avuto un atteggiamento difensivo e giustificativo della condotta, perché un loro congiunto è l’imputato. C’è stata una lettura diversa e più pericolosa rispetto al reale. Una necessità di ingigantire le cose e uno sforzo di colorire i fatti».
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