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In tribunale

Corruzione e atti falsi in municipio: il pm chiede due maxi condanne

E' il processo in cui era coinvolto anche il sindaco

Corruzione e atti falsi in municipio: il pm chiede due maxi condanne

Foto di repertorio

Irregolarità nella gestione del servizio di messa alla prova per le persone coinvolte nei procedimenti penali: parla di questo un processo arrivato alle battute conclusive in tribunale a Torino, con tre persone imputate e accusate, a vario titolo, di corruzione e falso commesso da pubblico ufficiale.

Ieri il pubblico ministero Gianfranco Colace ha chiesto una condanna a 8 anni di carcere per un dipendente dell’ufficio tecnico del Comune di Moncalieri e 7 anni per un albanese, oltre all’assoluzione di un terzo imputato.
La messa alla prova (Map) è un istituto che prevede, per chi ne fa richiesta, la sospensione del procedimento penale e lo svolgimento di lavori socialmente utili: se l’esito è favorevole, il reato è considerato estinto.

«Questo istituto - ha detto il pm in aula - è stato introdotto dieci anni fa. Fra luci e ombre. Nel nostro caso, l’ombra è che le attività non venivano verificate in maniera precisa e puntuale. Anzi, qui abbiamo visto più che altro tanta approssimazione».

Il processo è uno stralcio di quello che ha visto patteggiare 10 mesi di reclusione al sindaco di Moncalieri, Paolo Montagna, accusato di avere aggirato il meccanismo della messa alla prova simulando di avere svolto le ore di servizio sociale. Lo stesso che avrebbe fatto l’albanese, che ieri ha rilasciato dichiarazioni spontanee negando ogni addebito: «Io sono venuto in Italia e ho sempre pensato a lavorare onestamente».
Replica il pm: «Il telefono di Deza veniva intercettato a Bra, Torino o Cherasco mentre lui doveva essere in municipio a Moncalieri».

Poi, a seguire, sarebbe scattata anche la corruzione: il tecnico dell’ufficio comunale avrebbe ottenuto dall’albanese, in cambio della falsa attestazione della sua Map, dei lavori di ristrutturazione nel bed & breakfast della moglie. «Una delle tante false attestazioni, che erano il 95% del totale: il confronto fra i documenti e i tabulati telefonici è impietoso» conclude Colace.

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