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STRAGE DI BRANDIZZO

«Quei due minuti prima dell’impatto non sono bastati»

C’è una seconda inchiesta sulla strage di Brandizzo: oltre alla Procura di Ivrea, indaga anche il Ministero dei Trasporti

«Quei due minuti prima dell’impatto non sono bastati»

C’è una seconda inchiesta sulla strage di Brandizzo: oltre alla Procura di Ivrea, indaga anche il Ministero dei Trasporti. Cosa è successo, davvero, quella notte? Una contrattazione in diretta, un treno in arrivo e cinque operai già sui binari. Bastavano dodici minuti. Non sono mai arrivati. È contenuta nella relazione dell’Ufficio per le investigazioni ferroviarie — organismo del Ministero dei Trasporti — la ricostruzione dei minuti che hanno preceduto la morte di cinque operai la notte tra il 30 e il 31 agosto 2023 alla stazione di Brandizzo. Un documento finora inedito che, senza lasciare margini interpretativi, attribuisce le cause dell’incidente a una «grave negligenza» da parte dei referenti RFI e Sigifer, le due società coinvolte nei lavori. Il dato chiave emerge da una telefonata: quella tra Vincenza Repaci, capostazione di Chivasso, e Antonio Massa, caposcorta Rfi, uno dei due sopravvissuti, ora tra i principali indagati. Alle 22.29 i due iniziano a parlare per concordare l’interruzione della circolazione ferroviaria. Alle 23.47 Massa dice: «Interrompiamo da 00.01 fino all’1.30». L’autorizzazione, seppur solo a voce, arriva a 120 secondi dall’impatto. Ma i lavori erano già iniziati da tempo. Le immagini delle telecamere, acquisite agli atti, mostrano che alle 23.00 gli operai sono già sui binari. In quel momento Massa non è ancora arrivato: entrerà in stazione 11 minuti dopo. Con lui ci sono anche Andrea Girardin Gibin, caposquadra di Sigifer (altro indagato), e i 5 operai: Kevin Laganà, Michael Zanera, Giuseppe Sorvillo, Giuseppe Saverio Lombardo e Giuseppe Aversa.I video mostrano gli uomini muoversi con tranquillità tra la banchina e i binari, scaricare attrezzature, parlare, iniziare la manutenzione. Tutto in assenza dell’interruzione di linea. Alle 23.49 la telefonata tra Repaci e Massa si interrompe di colpo. Nessuno dei due riaggancia. È l’istante in cui sopraggiunge il treno 14950. Travolge e uccide i cinque operai. Gibin riesce a saltare sull’altro binario. Massa è sulla banchina, con il telefono ancora in mano. Secondo quanto emerso, i due referenti — Massa e Gibin — quella sera operarono in assenza dell’autorizzazione formale. Il documento ministeriale non lascia ambiguità: «L’incidente non è riconducibile all’infrastruttura o al materiale rotabile, ma a terze parti. Il tragico evento è imputabile a una grave negligenza nel rispetto delle procedure di sicurezza da parte del TI di RFI e del CS di Sigifer».L’avvio dei lavori prima dell’autorizzazione ha lasciato i lavoratori senza alcuna protezione. La motivazione, secondo il dirigente di movimento Rfi sentito dagli ispettori, è tanto semplice quanto drammatica: «Verosimilmente per tornare a casa prima». L’ultimo treno era atteso per le 23.45. In realtà, quello che li ha travolti.Nel dossier, Massa viene descritto come «persona estremamente precisa e tra le più diligenti». Gibin, «noto e affidabile». Ma quella notte, annotano i tecnici, hanno agito con «eccessiva confidenza» e «sottovalutazione del rischio». Con un obiettivo: minimizzare l’indisponibilità della linea e ridurre l’impatto sul traffico ferroviario. Un altro punto critico riguarda la documentazione operativa. I nomi dei cinque operai deceduti non compaiono nei documenti ufficiali. Il piano faceva riferimento a Orbassano e Bardonecchia, ma non riportava la località dell’intervento, né i dettagli operativi di Brandizzo. Tutte condizioni, queste, che avrebbero dovuto impedire l’inizio dei lavori. Ma il documento del Ministero cristallizza la sequenza degli eventi, gli errori commessi e le responsabilità. Bastava aspettare dodici minuti. Invece, alle 23.49, la linea era ancora aperta. E cinque uomini erano già sui binari.

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