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Mario Soldati, il torinese gentile che amava l’Italia

Mario Soldati

Mario Soldati

Gennaio 1954. Con uno storico annuncio, Fulvia Colombo rendeva noto che la Rai Radiotelevisione Italiana iniziava il suo regolare servizio di trasmissioni televisive. Una attesa novità, per il pubblico italiano. Quella sera, per celebrare la prima giornata di trasmissioni, la Rai mandò in scena una commedia torinese, “Le miserie del signor Travèt”, tratta dall’opera omonima del geniale Vittorio Bersezio. La regia? Di Mario Soldati, un altro sorprendente figlio di quel Piemonte d’antan che sfornava i creativi che fecero grande l’Italia. Torinese, sì. Era nato il 17 novembre 1906 in via Giolitti, che allora era l’anonima via Ospedale. Era figlio della buona borghesia cattolica torinese; il papà Umberto, la mamma, Barbara Bargilli; il bisnonno fu senatore del Regno, sottosegretario al ministero della guerra. Mario Soldati studiò dai gesuiti e si infervorò così tanto che decise di diventare religioso; non prese mai i voti, ma ebbe tra i suoi amici il nipote del cardinale Agostino Richelmy, oltre a grandi protagonisti della Torino di allora. Precocissimo, a 21 anni riuscì a veder rappresentato a teatro il suo dramma su Ponzio Pilato.

Pochi anni dopo, esordì nel campo letterario con il suo libro di racconti Salmace, pubblicato nel 1929. Nel frattempo iniziò la carriera da sceneggiatore e regista, dividendosi tra Roma e il lago d’Orta: amava i paesaggi lagunari, Soldati. Gli ritempravano l’animo. Il suo anno di svolta fu il 1941, nel pieno della seconda guerra mondiale, quando conobbe una ragazza di Fiume, Jucci Kellermann, attrice che divenne la madre dei suoi tre figli: Wolfango, Michele e Giovanni. In quello stesso 1941, Soldati raggiunse il successo con il film “Piccolo Mondo antico”, tratto dall’omonimo romanzo di Antonio Fogazzaro, ambientato sul lago di Lugano. Ancora un lago, con un mondo intero da rievocare, quello del passato. E, a proposito di mondi da rievocare, Soldati si impegnò in una missione sorprendente: far conoscere l’Italia agli italiani. Nell’immediato dopoguerra, tra le prime trasmissioni Rai, ecco far capolino sul palinsesto “Alla ricerca dei cibi genuini”.

Si trattò di una scommessa, una intuizione felice e riuscitissima. Perché le immagini in bianco e nero di quell’Italia rurale e difficile, ma genuina e vera, sono ancora scolpite nella memoria di molti. “Cos’è viaggiare? Viaggiare è conoscere luoghi, genti, paesi. E qual è il modo più semplice, il modo più elementare di viaggiare? Semplice: mangiare, praticare la cucina di un paese dove si viaggia. Nella cucina c’è tutto: la natura del luogo, il clima, la tradizione e la storia di un popolo”. Così, diceva nella prima puntata. Questo programma, a metà tra l’inchiesta giornalistica e il documentario, si rivelò uno dei capolavori della televisione italiana di allora, apprezzatissimo dal pubblico. Perché Mario Soldati fu torinese, sì, ma fu anche italiano. Un italiano gentile, con accento torinese e baffetti nostalgici, che amava la sua Italia e che credeva nella potenza nascosta tra le cascine e le piccole industrie del Belpaese. Spese tutta la vita per difendere e divulgare la cultura nostrana: fin da ragazzo, quando nel 1929 insegnò storia dell’arte italiana alla Columbia University; e quindi, nei suoi programmi televisivi, dai quali talvolta scaturivano racconti e libri (come “Vino al vino”, frutto del suo viaggio nella penisola).

Cercò sempre di conciliare la cultura alta, quella della buona borghesia torinese, con l’Italia del dopoguerra. Allegro di un’allegria subalpina, mai sguaiata, mai volgare; ironico e al contempo profondo, innamorato dell’Italia e della vita: Mario Soldati, con i suoi baffi e il suo modo di fare educato e gentile, divenne un vero personaggio, un protagonista della vita culturale italiana del secondo Novecento. Infine, se ne andò un sabato mattina, il 19 giugno 1999, nella sua villa di Tellaro (La Spezia), tra i suoi ulivi e i suoi lecci. Sulla morte di Mario Soldati calò un sipario rispettoso e discreto; la sua voce garbata raccontò.

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