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Sinner, una sconfitta che pesa: l’analisi tecnica della finale persa contro Alcaraz agli US Open

Servizio debole, prevedibilità tattica e scarsa varietà: le chiavi che hanno consegnato il titolo allo spagnolo

Sinner, una sconfitta che pesa: l’analisi tecnica della finale persa contro Alcaraz agli US Open

Jannik Sinner ha perso la finale degli US Open 2025 contro Carlos Alcaraz, e il punteggio – netto e senza appello – è solo il punto di partenza di una sconfitta tecnica prima ancora che mentale. L’analisi del match disputato sull’Arthur Ashe Stadium racconta di un Sinner contratto al servizio, prevedibile nella costruzione, statico nelle soluzioni, mentre Alcaraz ha dimostrato per l’ennesima volta di essere il giocatore più completo e imprevedibile del circuito.

Il primo dato che salta agli occhi è quello sul servizio:

  • 48% di prime in campo per Sinner

  • 48% dei punti vinti con la seconda palla

Numeri troppo bassi per competere ad alto livello, ancor più contro un avversario che ha messo il 61% di prime, vincendo quasi il 60% dei punti sulla seconda, e che ha concesso solo 10 palle break in tutto il torneo, un dato mai registrato prima in uno Slam da quando esistono le statistiche ufficiali. “Quando servi sotto il 50% di prime contro Alcaraz sei sempre sotto pressione”, ha ammesso lo stesso Sinner in conferenza stampa, aggiungendo: “Sono stato molto prevedibile, Carlos ha cambiato il gioco, io no”.

L’altra chiave della sconfitta è tutta nella varietà di gioco, o meglio, nella mancanza di essa. Il differenziale tra colpi vincenti ed errori gratuiti è impietoso:

  • +20 Alcaraz

  • -4 Sinner

La finale ha mostrato un Sinner che ha cercato di vincere il match solo con la potenza e la regolarità, elementi che lo hanno portato fino in fondo, ma che si sono rivelati insufficienti contro un avversario che cambia ritmo, tocco e geometrie ogni tre-quattro scambi.

Secondo uno studio di Tennis Insights, Alcaraz propone in media una variazione tattica ogni 4 punti, inserendo slice, palle corte, rovesci liftati, discese a rete, pallonetti, soluzioni che disorientano l’avversario e lo obbligano a pensare ogni colpo. Sinner, invece, ha giocato tutta la finale senza un singolo serve & volley, quasi mai ha usato la palla corta e ha impostato il match sulla ripetizione meccanica.

La vera autocritica dell’altoatesino arriva proprio su questo punto:“Arrivi a sfidarlo e devi uscire dalla tua zona di comfort. Una cosa è quando le partite precedenti sono comode e fai sempre le stesse cose, come ho fatto io. Ma contro Carlos non basta”. Non si tratta solo di schemi tattici: è una questione di approccio mentale, di fiducia nei propri mezzi tecnici e nella volontà di rischiare qualcosa di diverso, anche quando le armi abituali sembrano funzionare contro tutti, tranne uno.
Dal punto di vista numerico, questa finale è la più sbilanciata delle ultime otto edizioni degli US Open. Il divario di punti vinti tra i due è stato di 23 (55,7% a favore di Alcaraz), il più alto dopo la finale 2017 vinta da Nadal su Anderson (24 punti di differenza, 56,7%).

Alcaraz comanda ora gli scontri diretti per 11-5, ma soprattutto ha fatto il sorpasso in classifica mondiale dopo 65 settimane di regno azzurro. Una vittoria che segna un punto fermo nella loro rivalità, ma che – per stessa ammissione del campione spagnolo – non chiude nulla:“La rivalità con Jannik ci spinge a migliorarci. È questo che ci rende migliori”, ha detto Alcaraz dopo il trionfo.

Per Sinner, il prossimo banco di prova sarà il China Open di Pechino, dove un anno fa perse – ancora una volta – in finale contro lo stesso avversario. Per prepararsi al meglio, dovrà ripensare le sue scelte tattiche e lavorare sulle varianti di gioco.

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