l'editoriale
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05 Febbraio 2023 - 09:10
Sul volto ha ancora un sottile alone di cerone nero, «ci vanno ore per toglierlo del tutto, ogni sera è la stessa storia», dice con la sua tipica ironia partenopea, Giuseppe Abbagnale. Il pluricampione olimpico e del mondo di canottaggio in questi giorni sotto la Mole per interpretare niente di meno che Maciste nel film documentario (“Il ritorno di Maciste”, appunto) diretto da Maurizio Sciarra e prodotto dalla società torinese La Sarraz Pictures (con il supporto della Film Commission Torino Piemonte). «Non ci sono proprio abituato a tutte queste ore di trucco, non immaginavo che il cinema fosse così... Non immaginavo che sarei finito a fare il protagonista di un film», confida ancora mentre passeggia lungo le rive del Po, quel fiume chissà quante volte vissuto da atleta, prima, e da presidente della Federazione Nazionale di Canottaggio, dopo. Con lui il direttore tecnico dell’Esperia - «è un mio caro amico» -. Passeggiano e si rilassano dopo una giornata davvero intensa.
Giuseppe, com’è finito sul set di Maciste? «E’ stato un vero stalkeraggio da parte del regista. Ci siamo conosciuti durante l’anteprima del docufilm su me e i miei fratelli, da lì non mi ha più mollato e, evidentemente, mi ha convinto... Scherzi a parte, si tratta di un bravo regista, ho visto i suoi lavori, in particolare mi ha colpito il documentario sulla vita di Fausto Coppi».
E’ già in grado di tirare le somme di questa esperienza? «In un certo senso sono ancora titubante ma, posso dire, che si tratta senz’altro di un’esperienza invasiva, nuova e proprio per questo stimolante. Ed è anche faticosa... Questa cosa del cerone nero, poi, è una vera tortura. Ogni sera sto due ore sotto la doccia. Maciste, si sa, in “Cabiria” era nero e io interpreto proprio il Maciste di Giovanni Pastrone».
Come si è preparato al set? «Mi sono documentato molto e ho cercato di vedere quanti più film possibile per capire in che modo la sua figura si sia evoluta nella storia del cinema».
C’è qualcosa l’accomuna a Maciste? «Sì, la vena buona. Lui aveva sì una gran forza ma la usava per buoni propositi, è una cosa che fa parte anche del mio carattere. Per Pastrone, Maciste è lo schiavo mulatto che salverà Cabiria con la forza dei suoi muscoli, messi al servizio del trionfo della giustizia».
Gabriele D’Annunzio lo ha definito un “gigante buono”. «Sì, in effetti era proprio così».
Durante questa settimana ha avuto modo di vivere Torino? «Sì, nel poco tempo libero. Ho visto molto bene il Museo del Cinema e ho girato per ristoranti».
Quali piatti piemontesi ha conosciuto? «L’altra sera ho mangiato una cosa nuova, la grissinopoli, davvero un piatto buono e originale. E poi ci sono i circoli di canottaggio...».
Ce ne parli. «In questo momento sono qui all’Esperia ma sono tutti miei amici, il Caprera, l’Armida, tutti. Qui sono di casa, mi sento a casa».
Già, il fiume. Purtroppo colpito dalla siccità, ne ha patito il canottaggio? «No, il canottaggio registra sempre grandi numeri e, semmai, è stato il post Covid a creare danni maggiori. E’ stata faticosa la ripresa, ora sembra che le cose vadano meglio».
Torino, la Juve, il Napoli: lei tifa? «No, per nessuna squadra di calcio tranne che per la Nazionale. Sono i colori azzurri che mi fanno emozionare, della Nazionale non mi perdo una partita. Se gioca il Napoli e vince sono contento, per carità, ma non sono tifoso».
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