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VISSERO QUI
19 Giugno 2023 - 22:54
Un ritratto di Massimo D’Azeglio
Gli è attribuita una delle citazioni più note della storia del nostro paese, quel “Fatta l’Italia dobbiamo fare gli italiani” che, a destra e a sinistra, generazioni di politici, intellettuali e comuni cittadini hanno interpretato a modo loro, per dimostrare – a ragione, a torto? – che l’Italia nata dal Risorgimento e proseguita lungo le tortuose chine della storia recente è tutto, fuorché un paese riuscito.
Massimo d’Azeglio, dunque, è per tutti noi l’uomo che disse che bisogna fare gli italiani. Ma chi era quest’uomo? Ci può sorprendere, ma Massimo d’Azeglio è stato un protagonista del Risorgimento eppure oggi pare scolorito dal passar degli anni. Scolorito è un termine mutuato dalla pittura, ma d’Azeglio prima di tutto fu un pittore. E che pittore. Possiamo dire che fu uno dei massimi pittori italiani dell’Ottocento, esponente di spicco – con Hayez – del Romanticismo.
Le sue vedute, che tanto affascinarono i contemporanei, anche oggi sono motivo di stupore. Un quadro del d’Azeglio è un’esperienza visiva, affascinante nei suoi colori caldi; sotto alberi che solo lui, con gusto eletto, sapeva degnamente dipingere, uomini e donne d’altri tempi rivivevano scene del passato. Perché d’Azeglio, da buon romantico, prediligeva episodi del passato, specie se del Medioevo.

Oppure scene belliche del guerresco stato sabaudo. Un giro a Palazzo Reale potrà fruttare alcune interessanti lezioni d’arte. Massimo aiutò Manzoni a realizzare la famosa edizione illustrata dei Promessi Sposi, che uscì nel 1842 con i disegni di Francesco Gonin (e tre del D’Azeglio). Era un uomo modesto, moderato. Schivo. Non amava le onorificenze. E quando Carlo Alberto, nel 1839, propose di decorarlo per i suoi meriti artistici con la Croce al Merito Civile, il pittore rispose: “un voto fatto mi impone di non accettare finché viva nessuna distinzione di simil genere”.
Scriveva. Scriveva molto. “I miei ricordi” sono ancora un libro che può destare nel lettore un moto di simpatia e di rimpianto per gli anni della giovinezza dell’autore. E che dire dell’Ettore Fieramosca”, uno dei più celebrati romanzi risorgimentali? Insomma: Massimo Taparelli, marchese d’Azeglio, è stato una figura di spicco nel panorama politico e culturale dell’Italia del XIX secolo. Mostrò fin da giovane un grande talento artistico e una passione per la politica, che lo portò a intraprendere una carriera nella vita pubblica.
D’Azeglio fu un sostenitore dell’unificazione italiana e si schierò a favore delle riforme liberali e dell’indipendenza nazionale. Partecipò attivamente al Risorgimento italiano, che mirava a unire i vari stati italiani in una nazione unificata e indipendente. D’Azeglio fu coinvolto in vari ruoli politici e diplomatici e ricoprì incarichi ministeriali nel Regno di Sardegna. Durante il suo mandato come primo ministro nel 1849-1852, guidò il governo sabaudo in un momento di grande agitazione politica e sociale.
La sua leadership calma e moderata fu apprezzata da molti, ma alla fine il suo governo fu rovesciato e si dimise dall’incarico. La vita di d’Azeglio è stata caratterizzata da una profonda dedizione all’ideale di un’Italia unita e libera. Ha lavorato instancabilmente per promuovere i principi del liberalismo e dell’indipendenza nazionale, combattendo contro l’oppressione straniera e cercando di costruire una nazione più giusta e prospera. Ebbe anche la rara lucidità di comprendere che alcune cose non andavano.
A proposito del brigantaggio: “A Napoli, noi abbiamo cacciato il sovrano per stabilire un Governo fondato sul consenso universale. Ma […] bisogna sapere dai Napoletani un’altra volta per tutto se ci vogliono, sì o no. Capisco che gli italiani hanno il diritto di fare la guerra a coloro che volessero mantenere i tedeschi in Italia, ma agli italiani che, restando italiani, non volessero unirsi a noi, credo che non abbiamo il diritto di dare archibugiate”. E, quindi, il celebre mantra: “Fatta l’Italia bisogna fare gli italiani…”.
g.e.cav.
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