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Il 22 luglio 2011
15 Luglio 2023 - 15:47
Utøya
Spari. Il sordo rumore dei proiettili irrompe nel gelido paradiso del Nord. L’isola di Utøya, da quel momento, sarà legata per sempre al più sanguinoso attentato compiuto da un pazzo scellerato; un uomo solo, armato fino ai denti, con l’obiettivo di eliminare fisicamente l’intera classe dirigente della sinistra norvegese.
Il 22 luglio 2011 rimarrà per sempre una data oscura nella storia della Norvegia. Fu quello il giorno in cui il paese fu scosso da una serie di attentati terroristici perpetrati dall’estremista Anders Behring Breivik. Prima ad Oslo, la capitale, e poi sull’isola di Utøya, causando la morte di 77 persone e ferendo molte altre. La mattina di quel tragico giorno, Breivik fece esplodere un’autobomba nel quartiere governativo di Oslo, vicino agli edifici del governo norvegese, tra cui il palazzo del primo ministro. L’esplosione causò danni estesi e la morte di otto persone, oltre a ferirne molte altre.
Questo attacco iniziale generò panico e confusione nella città, mentre le forze di sicurezza cercavano di capire cosa stesse accadendo. Ma era solo l’assaggio, una specie di diversivo. Dopo l’esplosione, Breivik si diresse verso l’isola di Utøya, dove si stava tenendo un campo estivo organizzato dalla gioventù del Partito Laburista norvegese. Camuffato da poliziotto, Breivik aprì il fuoco indiscriminatamente sui partecipanti, compresi molti giovani.
Fu arrestato dopo la mattanza, senza opporre resistenza. L’attacco durò per oltre un’ora, causando la morte di 69 persone, in gran parte adolescenti e giovani adulti. Gli attentati di Oslo e Utoya rappresentarono una tragedia senza precedenti per la Norvegia, un paese noto per la sua stabilità politica e la sua apertura sociale. La violenza e la brutalità di questi attacchi colpirono profondamente la nazione e il mondo intero, scuotendo le fondamenta di una società pacifica. Dopo gli attacchi, emerse rapidamente che Breivik era un estremista con ideologie fortemente xenofobe. Attraverso il suo manifesto, pubblicato poco prima degli attentati, espresse il suo odio verso la società multiculturale voluta dal partito Laburista norvegese. Il processo avvenne nella primavera 2012.
Breivik appariva sano di mente e perfettamente lucido. In tribunale affermò di avere compiuto gli atti per mandare un “messaggio forte al popolo, per fermare i danni del partito laburista”. Il 24 agosto 2012, lo stragista fu condannato a ventuno anni di carcere: troppo poco, secondo alcuni, per un uomo che era stato capace di freddare 77 persone. Paradossalmente, Breivik lo sapeva e aveva sfruttato proprio la mitezza del sistema giudiziario norvegese, che non prevede reclusioni oltre i 21 anni. Paranoico, cinico, delirante; Breivik ha rappresentato l’incubo della società multiculturale, ed al contempo la necrosi della destra.
La sua ideologia è un’accozzaglia di cristianesimo protestante, nazismo, odinismo; vuole fare lo scrittore, essere il fondatore di un movimento di destra rivoluzionario. Fortunatamente, il suo gesto non ha avuto emuli: il suo movimento non resta che un delirio, il vaneggiamento di un pazzo artefice della più grande strage politica nella storia della Norvegia.
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