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IL PERSONAGGIO

Vittorio Emanuele, primo re d’Italia. Evitò la rivoluzione

Il re è entrato nella storia per molti motivi

Vittorio Emanuele, primo re d’Italia. Evitò la rivoluzione

Il re Vittorio Emanuele II

 Baffi imponenti, barba folta e ispida. E donne, naturalmente. Molte, moltissime donne. Il re Vittorio Emanuele II è entrato nella storia per molti motivi, ma uno di questi è senza dubbio da cercarsi nei suoi favoriti e, ovviamente, nelle sue favorite. Tante favorite, perché - riprendendo il vecchio adagio di un tempo re Vittorio Emanuele II era il vero padre della patria. In tutti i sensi. Descrivere il legame che unì il primo re d’Italia con il Piemonte e con Torino non è cosa facile, in quattromila battute o giù di lì. Perché Barba Tòjo - così era familiarmente soprannominato a Torino, con un velato doppio senso che giocava sulla sua barba e sulle parentele che ormai il lettore già conosce - parlò in piemontese, pensò in piemontese e si comportò da piemontese anche a Roma.


Tra tutti i re di Sardegna fu forse il più intimamente piemontese, nutrendo un amore sincero per tutto ciò che era del popolo e per il popolo: i menù - che una certa tradizione vuole cucinati proprio dalla Bela Rosin, nella tranquillità della Mandria - erano rigorosamente a base di carne, ma con ricette della vera tradizione subalpina. Alle feste a corte preferiva i diletti del popolo, come le fiere di paese. Si dice per adocchiare qualche nuova ragazza. Diceria che può essere vera, perché il nostro era un tombeur de femmes e, all’occorrenza, non esitava a farsi portare le più graziose direttamente a palazzo. Una fitta rete di agenti contribuiva a questo mercato. Ma non inquiniamo così la memoria del primo re d’Italia, che in realtà fu ben più che un incallito dongiovanni. Per amore di Maria Adelaide - la prima moglie - e povera Rosina - la seconda moglie - non indagheremo oltre in questo suo difettuccio.

Confermeremo invece ciò che dicevano all’epoca: e cioè che Vittorio fu davvero il re giusto al momento giusto. Simpatico e bonario, allegro e popolare - ma mai davvero popolano - fu perfetto per unire l’Italia. E, con questo fare da bonòm ebbe modo di placare le anime più irrequiete della Rivoluzione, che anche in Italia non avrebbe esitato ad una soluzione alla francese - teste tagliate - o alla spagnola - nemici messi al muro con dodici palle nel petto. In Piemonte e poi in Italia non ci fu la rivoluzione e fu solo grazie ai Savoia.

Grazie al bonario re Vittorio che correva dietro le gonnelle della Rosina e delle sue mille fiamme, ma che all’occorrenza sapeva riprendere in mano le redini del comando e dire le cose giuste al momento giusto. Re Vittorio salvò la penisola dagli esiti nefasti delle rivoluzioni ottocentesche. A Roma non ci fu la Comune come a Parigi ma, anzi, i Savoia furono premiati dalla stampa di tutto il continente come modelli di buon governo. E il figlio secondogenito del re, Amedeo, per due anni divenne anche re di Spagna.


Una certa storiografia ci vide un appuntamento con il destino; l’azione del caso. Noi, oggi, possiamo vederci una certa sagacia politica, unita al buon governo che i Savoia secolarmente misero in atto nei loro Stati. Unica monarchia in Italia che non ebbe una rivolta o una rivoluzione, ma che - invece - unì la penisola. La storia conta, conta davvero: e re Vittorio lo sapeva. Così, mitigò alcune delle leggi più insulse e rivoluzionarie messe in atto dai suoi ministri, primo fra tutti lo scaltro conte di Cavour: Casa Savoia non poteva certo attirarsi le ire della Chiesa e andare contro il papa come avrebbe fatto un sanculotto qualsiasi.

Di più: un piemontese di allora non lo avrebbe mai fatto. Perché il Piemonte era sinonimo di tradizione, era una regione nella quale la Rivoluzione come concetto politico, storico e antropologico non aveva ancora attecchito. E il re Vittorio, dongiovanni sì ma con la testa sul collo, si oppose come possibile al fiume in piena. Per il resto, si limitò a cavalcare l’onda. La testa non solo la mantenne sul collo - cosa non scontata, nell’Europa di allora - ma la coronò con la corona di re d’Italia.

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