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IL PERSONAGGIO
02 Ottobre 2023 - 17:47
Nino Costa
È stato il più grande dei poeti in lingua piemontese. Se fosse nato in un’altra regione, la sua poesia avrebbe allietato i lettori di ieri e di oggi e, soprattutto, sarebbe stata tradotta e studiata. Invece, Nino Costa nacque a Torino e a Torino morì; e Torino, si sa, è una città che non promuove i propri talenti letterari, a meno che non si promuovano da soli. È una città che vive di sensi di colpa, Torino, e che si nutre del mito secondo cui le altre città d’Italia - Milano in testa - le avrebbero tolto tutto.
In parte è vero, ma in parte no. Infatti, per un misterioso costume tutto torinese, Torino pare incapace di valorizzare ciò che ha. Prendiamo lui, Nino Costa: un genio della poesia, in tutti i sensi. Apparteneva alla generazione che aveva dato alla luce poeti come Guido Gozzano: quasi che Torino avesse potuto uscire da quel provincialismo culturale cui era stata dannata dopo lo spostamento della capitale nel 1864. Gozzano morì giovane, ed oggi è ricordato da qualche appassionato e nelle scuole talvolta nemmeno si studia più.
Nino Costa invece nei manuali scolastici non è nemmeno mai entrato. Il suo grande vizio, il peccato originale, fu quello di aver scritto in piemontese. Ma le poesie in romaniesco di Trilussa si leggono e si studiano. Le poesie in milanese di Carlo Porta fanno parte - o dovrebbero farlo - dei programmi scolastici. Perché non quelle in piemontese di Nino Costa? Perché - altro grande peccato - lui fu un poeta cattolico.
Forse nessuna penna fu più intrisa di cattolicesimo come quella di questo poeta dallo sguardo fiero, duro, ma che custodiva un cuore da bambino, capace di entusiasmarsi per poco. La sua fu una religiosità gentile, mai schierata, sempre sentimentale. Ma l’essere poeta in lingua piemontese e per di più essere cattolico furono per lui uno stigma insuperabile, che impedì il suo successo. Padre canavesano, madre monferrina, Nino Costa ebbe un’educazione come una volta. Educazione semplice, ma sincera e schietta. Si era laureato in veterinaria, ma successivamente, seguendo le lezioni di Arturo Graf, aveva ottenuto una seconda laurea in lettere.
Avrebbe potuto insegnare a scuola, ma preferì un tranquillo impiego alla Cassa di Risparmio. Pubblicò le sue prime poesie sul settimanale dialettale Birichin, in lingua piemontese. Le sue raccolta hanno nomi evocativi: Mamina (1922), Sal e Pèiver (1924), Brassabòsch (1928), Fruta madura (1931), Poesie religiose piemontèise (1934), Ròba nòstra (1938), Tempesta, pubblicato postumo nel (1946). Voleva una vita tranquilla, Nino Costa: era un poeta di razza, ma anche un uomo che metteva la famiglia prima di tutto. Sposato con Ercolina, da lei ebbe tre figli (Celestina, Mario e Maria Antonietta, la quale purtroppo morì in fasce).
Il figlio diciannovenne, Mario, morì nel corso di una sparatoria sulle Alpi, mentre serviva da partigiano contro i nazisti. Il padre non resse al dolore per la morte dell’amato figliolo. Morì nel 1945, poco dopo Mario. I suoi funerali, molto partecipati, si svolsero alla chiesa della Crocetta, vicina alla sua casa torinese, che era in via Giacomo Bove dove oggi una lapide lo ricorda. Padre e figlio riposano oggi uno a fianco all’altro al cimitero di Ciriè. Nell’ultimo periodo della sua vita, Nino Costa si impegnò attivamente per ricostituire la Famija Turinèisa, storica associazione cittadina che era stata chiusa negli anni del fascismo. Una scultura lo celebra al parco del Valentino; sotto, alcuni versi che identificano forse meglio di tutti il suo spirito: “Quand ch’aj rivrà l’ora pi granda: l’ùltima, / e ch’am ciamran lòn ch’i l’hai fait ëd bel, / mi rispondrai ch’i l’hai guardà le nìvole: / le nìvole ch’a van… travers al cel”. Era il poeta delle nuvole, Nino Costa. Quelle che vanno attraverso il cielo, come scriveva nei suoi versi. Ma anche quelle che sono ad un passo da Dio.
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