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Scienza e letteratura a Portici di Carta
06 Ottobre 2023 - 09:30
Il Go è un antico gioco da tavolo strategico di origine cinese. È uno dei giochi da tavolo più complessi al mondo, noto per la sua profondità strategica. Il gioco coinvolge due giocatori che si sfidano su una griglia con intersezioni (solitamente 19x19) e l'obiettivo è conquistare territorio posizionando pedine chiamate "pietre" sulla griglia. I giocatori alternano il piazzamento delle pietre, bianche e nere, cercando di circondare le pietre avversarie per catturarle e guadagnare territorio.
l numero di possibili posizioni nel gioco del Go è virtualmente infinito. A differenza di giochi come gli scacchi, in cui il numero di posizioni possibili è limitato da regole specifiche e dal numero di pezzi sul tavolo, il Go ha una complessità molto più alta. La griglia standard del Go è solitamente una griglia 19x19, che offre circa 361 intersezioni in cui i giocatori possono posizionare le loro pietre. Ad ogni mossa, un giocatore ha diverse opzioni, e le possibilità di piazzamento sono praticamente illimitate. La branca matematica della teoria dei giochi non è riuscita a calcolare con precisione il numero esatto di posizioni possibili nel Go, ma si stima che sia molto, molto più grande del numero di atomi nell'intero universo osservabile.
Una sfida di infinite possibilità, dove solo l'imprevedibilità umana può cogliere la mossa vincente contro una macchina calcolatrice, una sfida ai limiti dell'impossibile. Per questo, nel suo nuovo romanzo "Maniac" (Adelphi, 20 euro, traduzione di Norman Gobetti), Benjamin Labatut affida la metafora della sfida all'impossibile, alla minaccia dell'estinzione umana, a una partita di Go.
Lo fa tramite Lee Sedol, la Pietra Forte, il giocatore più creativo della sua generazione e l’unico essere umano ad aver mai sconfitto in una sfida ufficiale un sistema di intelligenza artificiale avanzata, AlphaGo, sistema di intelligenza artificiale partorito della mente di Demis Hassabis. Sedol, costantemente sconfitto, riesce a vincere una partita con quella passata alla storia come "la mossa 78", "La mano di Dio! Una mossa divina", o semplicemente un azzardo talmente improbabile che la macchina non l'aveva preso in considerazione.
Una rivincita dell'umano, che rifiuta l'idea che "non ha senso continuare a giocare se sai che perderai", in un romanzo dove è la scienza a farla da padrona, a partire dalla storia di John von Neumann, l'ungherese che stabilì la struttura matematica della meccanica quantistica e passando per la teoria dei giochi arrivò al Progetto Manhattan, quello dell'ormai celebre Robert Oppenheimer, il padre della bomba atomica celebrato dal blockbuster di Nolan. Maniac è una delle sue macchine, l'antenato dei nostri computer, il modello che avrebbe portato all'intelligenza artificiale. Un supercalcolatore cui, nel 1959, fu semplicemente staccata la spina e di cui il suo creatore disse che, per arrivare a ragionare come un essere umano, avrebbe dovuto "imparare a giocare, come un bambino".
E adesso che sta imparando a giocare, che in tanti - basti pensare agli esperimenti con ChatGPT - la stiamo usando in funzione ludica, l'intelligenza artificiale diverrà un pericolo o un alleato? Distruggerà l'arte e la creatività umane? "La gente non lo coglie ma parliamo di un modello predittivo che non si basa sulla replicazione o la copia e non sa essere creativo" ha detto nei giorni scorsi Labatut, ricevendo il Premio Malaparte. "Tutti i modelli più avanzati si concentrano infatti sulla predizione e questo sì che avrà impatto sulle nostre vite perché oggi non siano più in grado di immaginare il futuro. Invece bisogna immaginarlo prima di viverlo. Non so che riflessi avrà l'AI sulla letteratura e sulla creatività, so solo che tutto questo arriva in un momento in cui sembriamo ciechi: l'AI funziona un po' come l oracolo per gli antichi".
Benjamin Labatut sarà a Torino sabato 7 ottobre, nell’ambito di Portici di Carta: appuntamento alle 17 nella sala multimediale delle Gallerie d’Italia in piazza San Carlo.
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