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IL PERSONAGGIO
04 Dicembre 2023 - 18:10
Rosa Vercellana insieme al re Vittorio Emanuele
Re Vittorio Emanuele II, come tutti sanno, era un gran cacciatore. Cervi, caprioli, cinghiali: tutto ciò che popolava la campagna e la montagna piemontese. Ma era anche un cacciatore di… donne. Un dongiovanni appassionato, che spesso univa le due passioni: e dunque, finite le cacce agli animali si dilettava alla caccia al gentil sesso, corteggiando contadine e montanare. Avrebbe conosciuto così, durante una delle sue battute di caccia, secondo una romantica ricostruzione mai verificata, la donna che gli rubò il cuore: Rosa Vercellana.
La “Bela Rosin”, come verrà poi chiamata dai piemontesi, aveva solo 14 anni quando, nel 1847, attirò l’attenzione dell’allora principe ereditario del Regno di Sardegna. Era nata a Nizza nel 1833, ed era una campagnola procace, già formata. Bella, almeno secondo i gusti del Re, che alle algide dame della nobiltà preferiva le robuste contadine; con quelle contadine egli sognava boccaccesche avventure. Il padre d’Italia era fisicamente diventato il padre del suo popolo, come disse qualcuno. Ma con la Rosina era diverso. Era una coppia perfetta, si completava. Un amore ostacolato dalla corte, dal Cavour, da tutti. Ma il Re era il Re, e alla fine l’ultima parola spettava a lui.
Re Vittorio era vedovo dal 1855: la moglie, la piissima Maria Adelaide, una mezza santa che era morta dando alla luce l’ottavo figlio. Vittorio poteva scoprire le carte: anche se tutti sapevano della sua unione con la Rosina e della sua seconda famiglia (la coppia aveva avuto due figli, Vittoria ed Emanuele) nessuno poteva immaginare che il passionale Re di Sardegna, divenuto Re d’Italia, alla fine avrebbe sposato la figlia di un semplice militare originario di Moncalvo. Inizialmente le donò castelli e proprietà sparsi per il Piemonte: una villa a Torino, il castello di Sommariva Perno.
Per lei arrivò il titolo di contessa di Mirafiori e di Fontanafredda. Il re voleva risposarsi (egli era il re, insomma: non poteva forse farlo?) ma a corte tutti guardavano la Rosina con altezzoso disprezzo. L’occasione per coronare il sogno d’amore arrivò nel 1869, quando il Re si trovò in punto di morte mentre si trovava a Firenze. A San Rossore, una frazione di Pisa, il primo Re d’Italia sposò in chiesa, in gran segreto, la Rosina. Un matrimonio con il solo rito religioso, per mettere in pace l’animo del Re, già tormentato dagli aspri rapporti con papa Pio IX, che lo aveva scomunicato insieme ai suoi ministri per l’approvazione delle leggi anticlericali del 1855. Insomma, il Re voleva “pulirsi l’abito” per presentarsi degnamente davanti a Dio almeno dal punto di vista della propria vita coniugale.
Ma Vittorio Emanuele si riprese; divenuto sempre più malinconico e forse tormentato dal pensiero della morte, decise di completare il matrimonio con il rito civile il 7 novembre 1877. Si trattava di un matrimonio morganatico, cioè senza l’attribuzione del titolo di regina e senza passaggio alla moglie dei titoli e dei privilegi del marito. Era una scappatoia per evitare i battibecchi a corte. È per questo motivo che Rosa Vercellana non divenne la prima regina d’Italia (la prima moglie di Vittorio Emanuele, Maria Adelaide, non vide mai l’unificazione nazionale e non è dunque contata tra le regine d’Italia), titolo che spettò a Margherita, moglie di re Umberto.
In ogni caso, Vittorio Emanuele II non poté mai ripensarci decidendo di attribuire il titolo regale alla moglie: morì dopo appena due mesi dal matrimonio morganatico, il 9 gennaio 1878. E la Rosina? Visse una vita riservata e appartata, realizzò villa Mirafiori e quindi si trasferì a palazzo Beltrami di Pisa. Fu proprio a Pisa che l’antica amante e quindi moglie di re Vittorio morì il 26 dicembre 1885. I figli le eressero un piccolo pantheon sulle rive del Sangone: il mausoleo della Bela Rosin; le spoglie di Rosa Vercellana, però, non riposano più nel mausoleo a lei destinato, perché furono poi tumulate al cimitero monumentale perché l’edificio per lunghi anni versò in uno stato di profondo degrado.
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