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Scienza & Curiosità
01 Aprile 2024 - 16:40
Che l'inquinamento attuale sia una minaccia per il futuro era noto da tempo. Ma che arrivi a minacciare anche il passato è qualcosa che sorprende. E soprattutto ci si chiede: com'è possibile? Qualche viaggiatore nel tempo ha dimenticato i rifiuti in un'altra epoca? C'entra la fisica quantistica? In realtà non si sa di preciso come sia accaduto, ma è accaduto.
Secondo uno studio pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment, e condotto dalle università di York e Hull e sostenuto dall'associazione educativa York Archaeology, minuscole particelle di microplastiche sono state trovate in siti archeologici a più di sette metri di profondità, in campioni risalenti all'inizio del secondo secolo e scavati alla fine degli anni Ottanta.
Le microplastiche, spiega l'agenzia Gea - sono piccole particelle di plastica che vanno da 1μm (un millesimo di millimetro) a 5 mm. Provengono da un'ampia gamma di fonti, da pezzi di plastica più grandi che si sono frantumati, o da pellet di resina utilizzati nella produzione di plastica che sono stati spesso usati nei prodotti di bellezza fino a circa il 2020.
"Questo è un momento importante - spiega John Schofield del Dipartimento di Archeologia dell'Università di York - che conferma ciò che avremmo dovuto aspettarci: quelli che in precedenza erano ritenuti depositi archeologici incontaminati, maturi per essere indagati, sono in realtà contaminati da plastica".
Trattandosi di anni ottanta, come epoca degli scavi, è possibile che le particelle arrivino da equipaggiamenti o attrezzature degli archeologi? O la contaminazione è successiva? E cosa può comportare questa presenza nei campioni?
Oltre ai rischi ambientali, infatti, il timore è che le microplastiche possano compromettere anche i resti conservati negli scavi. "Qui - aggiunge l'esperto - vediamo il nostro patrimonio storico incorporare elementi tossici. In che misura questa contaminazione comprometta il valore probatorio di questi depositi e la loro importanza nazionale è ciò che cercheremo di scoprire".
Lo studio ha identificato sedici diversi tipi di polimeri microplastici sia nei campioni contemporanei sia in quelli archiviati. "La presenza di microplastiche può e cambierà la chimica del suolo, introducendo potenzialmente elementi che causeranno il decadimento dei resti organici. In questo caso, la conservazione dell'archeologia in situ potrebbe non essere più appropriata", aggiunge David Jennings.
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