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Dopo Art Attack cacciato dalla Rai: Giovanni Muciaccia lascia lo schermo con amarezza

Da Art Attack al teatro, tra choc, imitazioni e naufragi sfiorati: il racconto amaro ma lucido del conduttore che ha cresciuto tre generazioni

Dopo Art Attack cacciato dalla Rai: Giovanni Muciaccia lascia lo schermo con amarezza

Giovanni Muciaccia

Nel salotto televisivo degli anni Duemila, lui era il volto sorridente che parlava ai bambini con colla vinilica e cartoncini colorati. Giovanni Muciaccia, simbolo indiscusso di Art Attack, è tornato a far parlare di sé, stavolta con parole che non hanno nulla della leggerezza delle sue creazioni. In una lunga intervista al Corriere della Sera, il conduttore racconta senza filtri l’addio alla Rai, vissuto come un’ingiustizia profonda: “Sono stato fatto fuori, è stato uno choc”.

Muciaccia, 54 anni, non gira intorno al dolore: “Mi aggiravo come uno zombie tra viale Mazzini e viale Clodio. Era novembre 2019. Carlo Freccero, all’epoca direttore di rete, decise di chiudere improvvisamente 10-12 programmi, tra cui i miei: Cinque cose da sapere e La porta segreta”. Nessuna telefonata, nessun confronto: “Non l’ho mai visto, nemmeno una parola. È una forma di violenza. Le persone vanno affrontate”, dice con fermezza.

Senza coperture politiche, Muciaccia si è ritrovato fuori dai palinsesti e costretto a reinventarsi. Ma non ha mollato. “Oggi vivo ancora di Art Attack”, racconta. “Ho iniziato a studiare arte e ora porto in scena spettacoli divulgativi in giro per l’Italia. Il pubblico, tre generazioni cresciute con me, continua a seguirmi con affetto”.

Dietro il volto rassicurante, emerge una vita intensa, anche lontano dalle telecamere. A Formello, vicino Roma, vive con la moglie Chiara Tribuzio e i due figli, Edoardo e Maria Vittoria. Ma non è solo tranquillità domestica: “Faccio kite surf, cerco l’adrenalina. Ho rischiato di morire tre volte, una nel canale d’Otranto e due all’estero. Non riuscivo a tornare a riva”.

Il capitolo televisivo non è chiuso, ma è affrontato con disincanto. “Mi piacerebbe tornare, ma non vivo aspettando una chiamata. Alcuni miei colleghi impazziscono se spariscono un mese dallo schermo. Io no. Niente è eterno, neanche se sei raccomandato”.

A colpire, tra le righe dell’intervista, è l’autoconsapevolezza. Muciaccia rifiuta la retorica dell’ex famoso dimenticato. Sa quanto vale, sa quanto ha dato. “Ho detto quattro volte no all’Isola dei Famosi. Non si mangia, non è un’esperienza professionale. Ognuno fa ciò che vuole, ma io preferisco altri percorsi”.

Eppure, la fama può avere anche lati grotteschi. L’imitazione di Fiorello – che ne fece un tormentone nazionale – lo inseguì nella vita quotidiana: “Mi camuffavo per strada. Era diventata una cosa pesante. Oggi ci rido, ma in quel periodo fu un inferno”.

La parabola di Giovanni Muciaccia è quella di un artista che ha saputo trasformare la creatività in un lavoro e poi la resilienza in un nuovo inizio. “Grazie all’equilibrio ho evitato la depressione”, confessa. Il colpo subito dalla Rai non l’ha fermato, semmai l’ha spinto a tornare all’essenza della sua missione: raccontare l’arte, farla amare, trasformarla in gesto semplice. Proprio come in un attacco d’arte.

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