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05 Maggio 2025 - 22:40
Un alleato silenzioso, sempre disponibile, pronto ad ascoltare senza giudicare, anche alle tre di notte. Si chiama Therabot e potrebbe rappresentare una delle frontiere più promettenti della salute mentale: è il chatbot terapeutico sviluppato dal Dartmouth College, al centro di uno studio pubblicato sulla rivista NEJM AI, interamente dedicata all’intelligenza artificiale in medicina clinica. E i risultati sorprendono: l’IA, se ben addestrata, può ridurre sintomi depressivi, ansia e disturbi alimentari con un’efficacia vicina a quella della terapia umana.
Il progetto, nato nel 2019 all’interno del Laboratorio di Intelligenza Artificiale e Salute Mentale dell’università americana, ha coinvolto 106 pazienti statunitensi affetti da disturbo depressivo maggiore, ansia generalizzata o disturbi del comportamento alimentare. Per quattro settimane, i partecipanti hanno interagito con Therabot tramite un’applicazione, soprattutto nei momenti critici della giornata: durante crisi notturne, attacchi di panico o episodi di forte stress, quando il supporto umano è spesso fuori portata.
Therabot utilizza i principi della terapia cognitivo-comportamentale (CBT), una delle metodologie psicologiche più riconosciute a livello clinico. L’obiettivo? Favorire la consapevolezza delle emozioni, decostruire i pensieri negativi e accompagnare l’utente in un processo di riflessione guidata. I numeri parlano chiaro:
-51% di sintomi depressivi
-31% di sintomi ansiosi
-19% di preoccupazioni legate al corpo nei disturbi alimentari
Il dato che ha stupito di più i ricercatori, però, non è solo clinico ma relazionale: i partecipanti hanno sviluppato verso il chatbot un grado di fiducia simile a quello instaurato con uno psicoterapeuta umano. Un aspetto tutt’altro che banale, considerando che la riuscita di una terapia psicologica dipende in gran parte dal rapporto empatico e dalla fiducia reciproca tra paziente e terapeuta.
Nonostante l’entusiasmo, gli stessi autori dello studio mettono in guardia: Therabot non sostituisce la figura umana del terapeuta, e non può essere utilizzato come unico strumento. Il chatbot rappresenta un’integrazione, utile per rendere la terapia più accessibile, continua e personalizzata, ma deve essere affiancato da supervisione clinica, perché le risposte dell’IA non garantiscono ancora pienamente gli standard di sicurezza e sensibilità richiesti.
Il potenziale è enorme: strumenti AI progettati con cura, testati e supervisionati possono ampliare l’accesso alla salute mentale, superando le barriere geografiche, economiche e logistiche. Ma la strada è ancora lunga. Le implicazioni etiche, la sicurezza dei dati, la responsabilità delle risposte e l’affidabilità delle diagnosi restano sfide aperte.
Therabot, insomma, non vuole prendere il posto del terapeuta. Ma potrebbe diventare, per milioni di persone, quella voce amica pronta ad ascoltare quando nessun altro può farlo. E questo, in certi momenti, fa tutta la differenza del mondo.
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