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Storia

La storia come specchio del presente? Un’illusione alimentata dai nostri bias cognitivi

L’esempio di Jefferson e Adams usato per leggere le polarizzazioni di oggi rivela quanto siamo dipendenti da narrazioni semplificate

La storia come specchio del presente? Un’illusione alimentata dai nostri bias cognitivi

L’idea che la storia possa aiutare a capire il presente è potente, rassicurante e profondamente radicata. Ma è anche fuorviante. Il nuovo percorso inaugurato il 23 maggio a Monticello, la residenza di Thomas Jefferson in Virginia, ne è una dimostrazione. L’allestimento, intitolato “Founding Friends, Founding Foes”, racconta il celebre rapporto tra Jefferson e John Adams: da alleati a nemici politici, fino alla riconciliazione in età avanzata. Una vicenda appassionante sul piano della filosofia politica, ma oggi proposta come chiave per leggere la polarizzazione politica contemporanea negli Stati Uniti.

Questa scelta narrativa non è un problema in sé, se serve ad attrarre visitatori. Ma diventa tale se si pretende che la storia offra davvero risposte al presente. Le contrapposizioni tra Adams e Jefferson erano dibattiti di altissimo profilo, sostenuti da una visione etica e intellettuale oggi difficilmente riscontrabile nei conflitti politici più beceri dell’era dei social. Applicare schemi del passato a situazioni odierne rischia di banalizzare entrambe.

L’illusione che la storia si ripeta e insegni deriva da un insieme di bias cognitivi e scorciatoie mentali. L’euristica della disponibilità, descritta da Tversky e Kahneman, ci porta a credere che eventi noti e traumatici — come guerre o crisi — si ripetano perché facilmente richiamabili alla memoria. In più, siamo predisposti a riconoscere schemi, a voler dare senso al caos tramite narrazioni che rassicurano e semplificano.

La cultura scolastica e mediatica rafforza queste convinzioni, costruendo una narrativa in cui la storia fornisce spiegazioni lineari a fenomeni complessi. Ma ogni evento ha un contesto unico. Le lettere tra Jefferson e Adams non illumineranno Trump, così come l’insegnamento delle guerre passate non ha impedito nuovi conflitti. La storia può offrire prospettive, ma non modelli predittivi affidabili. È un romanzo aperto, non un manuale d’istruzioni.

Pensare che basti “studiare il passato per non ripetere gli stessi errori” è una scorciatoia emotiva più che una verità. La storia, al massimo, aiuta a capire meglio noi stessi, le nostre aspettative, le nostre illusioni. Per interpretare il presente, forse è più utile leggere un romanzo come Never di Ken Follett che non una guida museale su due padri fondatori degli Stati Uniti.

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