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Regole
26 Agosto 2025 - 19:20
La musica è l’anima di bar, pub, ristoranti e locali notturni. Ma sempre più spesso, in Italia, diventa terreno di scontro. Da un lato i gestori, convinti che volume e atmosfera siano indispensabili per attirare clienti, dall’altro i residenti, che chiedono il rispetto del diritto al riposo. Quando il dialogo non basta, si finisce davanti ai giudici.
Ogni Comune stabilisce, con appositi regolamenti e ordinanze, gli orari entro cui i rumori devono essere contenuti. Le fasce più tutelate sono quelle notturne, con limiti che vanno generalmente dalle 22 fino alle 8 del mattino. A seconda della stagione, i periodi di silenzio cambiano, ma l’obiettivo resta sempre lo stesso: garantire la quiete di chi abita vicino ai locali. A queste norme si aggiungono quelle condominiali, spesso più restrittive, che possono prevedere sanzioni per chi non rispetta gli orari fissati.
La legge nazionale non indica valori precisi, ma il Codice civile vieta immissioni sonore che superino la “normale tollerabilità”. In pratica, il rumore non deve superare i 3 decibel oltre il livello di fondo. È un criterio che i tribunali applicano caso per caso, tenendo conto della durata, dell’orario e delle condizioni di salute di chi subisce il disturbo.
Quando invece la musica è così forte e prolungata da disturbare un numero elevato di persone, scatta il reato di disturbo della quiete pubblica, previsto dall’articolo 659 del Codice penale. In quel caso non serve la denuncia di un singolo vicino: è sufficiente che il rumore sia potenzialmente idoneo a turbare la vita di un intero quartiere.
Sempre più cittadini si rivolgono ai tribunali civili per chiedere la cessazione dei rumori molesti e il risarcimento dei danni. Non mancano però casi in cui a muoversi sono gli stessi gestori dei locali, esasperati da contestazioni continue e, a loro dire, immotivate, che rischiano di allontanare la clientela.
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