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24 Giugno 2021 - 07:30
Le hanno messo del cellophane in bocca, l’hanno picchiata, imbavagliata, legata e rinchiusa in bagno per poterla derubare dei ricordi di una vita. Poi sono riusciti a scappare e per qualche mese hanno anche pensato di averla fatta franca ma non avevano fatto i conti con la pervicacia degli investigatori che hanno seguito a ritroso le loro tracce sulle telecamere di mezza città, come un Pollicino digitale che li ha portati al lieto fine: l’arresto dei presunti colpevoli.
In manette sono finiti tre americani. Meylin Sanchez, nata in Nicaragua nell’87, Juan Ramirez Casanova, colombiano 28enne e il suo connazionale Diego Hernandez Alvarez, 45 anni, accusati di concorso in rapina in abitazione, lesioni personali aggravate e sequestro di persona. La rapina risale allo scorso 15 ottobre ma, secondo quanto è stato ricostruito dai carabinieri, la banda già da qualche tempo teneva sotto controllo la vittima, la 74enne Elisa Stacchini, tanto da averle suonato il campanello già nei giorni precedenti per accertare se l’anziana rispondesse aprendo la porta o meno. Quella sera, una volta andato via il custode del palazzo di via Mazzini, i tre sono passati all’azione, riuscendo a intrufolarsi nel condominio nonostante il doppio portone protetto da altrettanti codici di sicurezza. Poi hanno suonato alla porta dell’anziana e non appena l’ha socchiusa l’hanno spinta dentro, legata e chiusa in bagno. Si sono impadroniti di gioielli, un pugno di contanti e di due Rolex, sfilandole dal polso quello del marito, morto un paio di anni fa.
Già quella notte, i carabinieri della compagnia San Carlo hanno acquisito le immagini delle telecamere del palazzo e da lì hanno iniziato una lunga e paziente indagine. Individuati i tre rapinatori, hanno seguito le loro tracce a ritroso, da una telecamera di sorveglianza all’altra, arrivando fino a via Madama Cristina e, grazie al bus che avevano utilizzato, da lì addirittura fino a via Bologna, dove si erano dati appuntamento prima del colpo. L’identità l’hanno poi scoperta grazie all’analisi delle celle telefoniche agganciate dai loro cellulari e la prova che li ha incastrati definitivamente l’hanno trovata nell’appartamento della loro vittima, dove i Ris hanno rilevato tracce del loro Dna sul nastro isolante e su un pezzo di guanto di plastica. Una vera e propria “firma”, che ha convinto il giudice Edmondo Pio ad accogliere la richiesta di custodia cautelare in carcere.
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