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Seguita con un’app e picchiata: «Denunciateli, la giustizia c’è»

Martina

Era il suo primo “amore”, lei aveva vent’anni e faceva la ragazza immagine. Pensava di essere “innamorata” di quel ragazzo che possedeva le password dei suoi profili social e che dal proprio telefonino monitorava foto e chat di lei, oltre che i suoi spostamenti. Pensava che fosse “amore”, lei, anche al pronto soccorso del Martini, con un trauma cranico, dopo una delle ultime liti. «Mi hanno picchiata in tre o quattro in un locale», raccontava però ai sanitari, per coprire lui, con i lividi sotto agli occhi, o un dito rotto.

Poi qualcosa è cambiato. Grazie all’esasperazione di una madre che si è rivolta alle forze dell’ordine e all’ammonimento del questore emesso in assenza di querela. Dopo un anno di relazione e di stalking e 15 chili persi, Martina T. ha scelto di uscire allo scoperto. L’aiuto della famiglia, il lavoro su se stessa e il confronto con una di ex di lui, a cui era capitata la stessa cosa, l’hanno spinta a denunciare. Oggi, dopo che l’ex (ieri) è stato condannato a un anno e tre mesi per stalking e lesioni e a 5mila euro di provvisionale (l’inchiesta è della pm Giulia Rizzo), Martina vuole raccontare: «Voglio parlare alle ragazze che hanno vissuto un incubo come il mio - dice – ho sofferto tanto e ne porto le conseguenze addosso ancora adesso. Non esco più da sola da quattro anni. Alle ragazze come me dico denunciate, e subito. Andate a un centro anti-violenza. Se non avete soldi, non è un problema, ci sono avvocati pagati dallo Stato per aiutarvi».

Oggi Martina – che ha lavorato nei locali da quando aveva 15 anni – è dermopigmentista e truccatrice professionista. Sta cercando di rifarsi una vita: «Penso che tutte le storie come la mia abbiano le stesse fasi: lui ti da carota e bastone. La sera ti picchia, il giorno dopo chiede scusa, piange e dice che è innamorato. Ma in realtà vuole avere il controllo su tutto. E questa mancanza di fiducia di fondo nasce quando una persona è instabile. Ma nessuna ragazza può sopportare o prendersi la colpa per questo». «Uscivo solo quando c’era anche lui, perché era geloso – aveva detto in udienza Martina - ero piccola e mi sembrava normale. Lui fin da subito ha voluto le password dei social e la posizione. Si è installato il mio WhatsApp. Sapeva sempre dov’ero. A ogni non risposta mia seguivano cento messaggi suoi: dov’ero, cosa facevo, se lo stavo tradendo. Sono stata seguita più volte. Una sera ero uscita ed è piombato con altri sotto casa mia. Dopo mesi di controllo sui ero in loop. Per me era diventato tutto normale. Anche gli insulti, ‘troia, puttana, ti ammazzo».

«Quando ci lasciammo – aveva proseguito Martina - non cambiò niente. Mi seguiva ovunque. L’ansia ce l’ho ancora. Non andrà mai via. Ho detto io Basta. Avevo perso 15 chili. Mia madre era disperata». «Martina è una bellissima ragazza - commenta Alessandra Lentini, avvocata di parte civile - molto spesso in processi come questo la difficoltà consiste nello scontrarsi contro gravi pregiudizi. Purtroppo ancora oggi l’aspetto fisico e l’abbigliamento vengono associati, da alcuni, a comportamenti definiti provocatori. Nulla di più sbagliato. I reati di genere non vanno mai giustificati e non c’è alcun nesso tra questi e come ognuno di noi appare o vuole presentarsi».

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