La convinzione che quella
donna, che corteggiava con insistenza, si fosse
fidanzata con un
altro uomo. La rabbia di sentirsi respinto, la volontà di punire colui che si sarebbe posto come rivale e che, con coraggio, lo avrebbe affrontato per dirgli: «Lascia stare
Patrizia».
Sarebbe questo il
movente - un sentimento di rivalsa, orgoglio ferito e non accettazione dell’essere respinto della barista di cui si era invaghito - che sarebbe alla base dell’
omicidio di
via Gottardo e che avrebbe spinto
Luigi Oste,
fermato nella serata del
5 novembre, ad
uccidere Massimo Melis, 52anni,
dipendente della
Croce verde freddato con un colpo di pistola la sera del
31 ottobre. Luigi Oste ha
62 anni e gestisce, con i figli dell’ex compagna deceduta, il bar
“L’Angelo azzurro” di
corso Vercelli. Ed è lì, dove è stato visto lavorare per tutta la settimana, che è stato fermato. Interrogato dalla
pm Chiara Canepa, che lo accusa di omicidio volontario, l’uomo, difeso dall’
avvocato Salvo Lo Greco, si è avvalso della facoltà di non rispondere.
Nel decreto di fermo si motiva il fermo con il
pericolo di fuga. E si riportano testimonianze e messaggi che dimostrerebbero come la vittima avrebbe provato a difendere l’amica
Patrizia Cataldo, che
aveva paura di
Oste e delle sue insistenze, affrontando l’indagato. Secondo la polizia, ad inchiodare Oste, oltre ai
messaggi, sono le immagini delle
telecamere della
zona, che lo avrebbero inquadrato in prossimità della macchina parcheggiata in cui si trovava Melis, in un orario compatibile con quello del delitto.
L’
arma, un
revolver calibro 38, non è stata trovata. Ad Oste, perquisito nella sua abitazione e nel locale che di fatto gestisce, non viene contestato il possesso di armi. Secondo gli inquirenti, la donna di cui Oste si sarebbe infatuato, Patrizia, che lavora in un altro a circa 30 metri da “L’angelo azzurro”, avrebbe temuto il 62enne. Sia per i modi in cui l’avrebbe pressata per convincerla ad avere una relazione con lui - appostamenti sotto casa e davanti al bar in cui lei lavorava, secondo quanto riferito agli inquirenti - sia per la “personalità” dell’uomo. Oste ha precedenti. Lo scorso 30 giugno era stato fermato per resistenza e tentato furto di una pistola durante una lite con un automobilista: avrebbe malmenato un carabiniere. A
Vercelli era stato coinvolto in un processo per ricettazione di alcolici, in concorso con altri
indagati romeni.
Massimo Melis aveva incrociato Oste al bar, e nel quartiere in cui vivevano sia i due uomini che Patrizia, che in passato, con Melis, aveva avuto una relazione. Massimo e Patrizia erano rimasti amici. E dalla scorsa estate, da quando Patrizia si sarebbe sentita pressata da Oste, Massimo si sarebbe offerto di proteggerla. Ecco perché, la sera, quando poteva, Melis accompagnava a casa l’amica. Come avvenne la sera del delitto. Patrizia non aveva mai denunciato Oste. Sperando che le sue insistenze cessassero, avrebbe, di recente, fatto sapere al 62enne: «Sono fidanzata». Una frase che però, anziché fare desistere lo spasimante, avrebbe peggiorato le cose. Oste - sempre secondo l’ipotesi dell’accusa - si sarebbe ingelosito. Anche, e in particolare, di Massimo.
La tesi degli inquirenti è ancora in fase di verifica. L’
inchiesta è aperta. Del proprio assistito, originario di
Piazza Armerina (Enna), l’avvocato Lo Greco non parla. «Ci sono indagini in corso, aspettiamo che facciano il loro corso», dichiara il legale.
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