Se un turista venuto da lontano, avesse fatto una passeggiata al
Palagiustizia la scorsa settimana, di mercoledì, tra le dieci e le undici e un quarto di mattina, senza sapere che quel luogo è il tribunale, avrebbe probabilmente pensato, sentendo il rumore dei suoi passi lungo i corridoi bui e silenziosi e attraversando atri deserti con odore di polvere, di essere nella scenografia di un film come
Shining. L’iperbole, ovviamente ironica, è diventata, ultimamente, un modo di dire tra gli avvocati che frequentano il palazzo.
Nonostante le ferie siano ufficialmente finite, e la sospensione dei processi anche (dal 31 agosto), il 7 settembre, su 41 aule, soltanto tre, ovvero il 7 percento delle totali, in un arco temporale di 75 minuti (a metà della mattinata, quando il tribunale dovrebbe essere pieno) ospitano processi. Dalle dieci di mattina, tutte le stanze destinate alle udienze preliminari o ai processi abbreviati sono prive di utenti. Un avvocato solitario staziona davanti alla 35 in attesa di un cliente. Ma è l’unica figura che si intravede, a parte la scultura che ricorda la sfinge nel cortile, in uno scenario quasi apocalittico.
Si trovano forme di vita soltanto nella 38, dove a un certo punto (alle 10 e 20) si vedono accorrere il
pm Gianfranco Colace e l’
avvocata Francesca Violante, per partecipare all’udienza sul caso
Westinghouse, dove l’imputato è l’
ex sindaco Piero Fassino. Un processo che rischia la prescrizione, visto che sono fatti, quelli del
caso Ream 2, relativi a quando
Fassino era sindaco. Proseguendo oltre, se ci si avventura nei sotterranei, nelle maxi aule, quelle che ospitarono i grandi processi della
Thyssen e di
Eternit, si sente l’eco dei propri passi.
I neon accesi e il ronzio inquietante delle luci o delle macchine che regolano il riscaldamento sono il contesto di uno scenario inaspettato. Le aule sono tutte vuote, come la 43 e la 45 al piano di sopra. Il silenzio è interrotto soltanto da due avvocate che prendono il caffè alla macchinetta, che, ironia della sorte, in quel momento funziona, mentre è spesso rotta quando le udienze ci sono. Nell’atrio davanti alla 43 e alla 44, si sente una porta che cigola. Ma è solo un impiegato del palazzo, non c’è alcun processo. Il fatto che di udienze non ce ne sono e non ce ne saranno, è confermato, per le aule 4, 5 e 6: sono chiuse a chiave. La 7 si apre, ma è del tutto buia.
Per trovare la seconda udienza della giornata bisogna arrivare fino alla 45, dove in dieci minuti inizia e finisce tutto: c’è una sentenza da pronunciare, che l’imputato, difeso da
Basilio Foti, attende dentro alla gabbia dei carcerati. Al banco dell’accusa, una vpo. Le aule successive sono aperte, ad eccezione della 46, ma tutte vuote. La 50 è chiusa, e l’atrio dove campeggia l’armadio antico che fa capire che si è in zona di processi d’appello, non ha un buon profumo. Sa di legno e muffa. Sono le 10.36 e non c’è anima viva nemmeno oltre. Sulla porta dell’aula 52 è rimasto appeso un cartello che riporta un’informazione dei primi di luglio. Da allora, forse, si è fermato tutto.
Il silenzio scoraggiante delle aule ai piani di sopra è interrotto soltanto quando, verso le 11, si arriva alla 81. Quella delle direttissime. La
giudice Giulia Locati sta finendo il terzo e ultimo caso della giornata. Per il resto, non si vede né passa nessuno nelle 78 e 79, nella 53 e 54. La 56 è al buio totale. La “mitica” aula 59, fino a qualche anno fa affollatissima di direttissime, è deserta. Verso le 11 e 15, al termine del giro, nei corridoi esterni, quelli che costeggiano il giardino, si vedono alcuni avvocati. Sono in giro per commissioni, alla ricerca di informazioni, come i pochi giornalisti, che forse non troveranno.
È il sette settembre ma forse, il sette agosto, il
Palagiustizia era più affollato. Sono in molti i legali che si lamentano, ormai nemmeno tanto più sotto voce. «È tutto fermo», «Qui non si lavora», le frasi più ricorrenti, spesso accompagnate a giudizi: «È inaccettabile che un tribunale si blocchi per due mesi ogni estate», precisa qualcuno, e arriva l’eco di un altro avvocato che puntualizza: «Veramente negli altri mesi non è che la situazione sia molto diversa». Ma cosa succede, da alcuni mesi, o forse anni, al
tribunale di Torino, che un decennio fa era spesso, per l’importanza dei processi che venivano celebrati, sulle pagine dei quotidiani nazionali?
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Rispondere alla domanda non è semplice. Si può soltanto avviare una riflessione partendo da qualche numero che dimostra la grave carenza d’organico, sia di magistrati (in
Piemonte sono solo 536 al posto di 605) che di amministrativi. I processi arretrati ammonterebbero, dato del 2021 a 13mila, ma il numero è da verificare e altri conteggi sono in corso. A fronte di risorse umane sempre più scarse, i processi però aumentano. Erano 751 nel 2018, già 981 nel 2021.