«Ieri sera, tornato a casa, la cosa è degenerata. Mi ha aperto l’occhio. Ha tentato di strangolarmi». La voce tremante di
Ettore Treglia, trovato morto ammazzato a 47 anni il 5 aprile 2021 (nella casa in cui abitava con la moglie in
via Ascoli), è risuonata ieri, al processo davanti alla
Corte d’Assise. Ma le parole, che la vittima, due giorni prima di morire, rivolgeva all’amante con un messaggio audio, probabilmente non riusciranno a dare alla vittima giustizia.
A fare chiarezza su un delitto che finora è stato avvolto nel mistero e che lo resterà forse per sempre, visto che ieri, a sorpresa, la
Corte presieduta dalla giudice Alessandra Salvadori, accogliendo un’istanza della difesa (è imputata al dibattimento la moglie dell’uomo,
Gaja Principe) ha stabilito che l’autopsia eseguita sul cadavere il 10 aprile del 2021 sarebbe «inutilizzabile». Il motivo è un dettaglio tecnico: il pm, quando ordinò l’autopsia, lo fece aprendo un’inchiesta contro ignoti, perché al momento era per lui l’unica possibilità consentita, visto che non c’erano elementi per indagare la moglie.
Secondo l
’avvocato della moglie, Alberto De Sanctis, la donna, per garanzie difensive, avrebbe invece dovuto essere avvisata di un atto «tecnico di natura irripetibile». L’autopsia era stata svolta dal medico legale quando ormai era già tutto pronto per la cremazione di
Treglia, visto che la sua era stata etichettata come morte naturale, in un primo momento, complice il caos generato dalla pandemia da
Covid. Il medico aveva messo nero su bianco che
Treglia era stato strangolato. Quell’atto fondamentale in un processo per omicidio volontario da ieri è inutilizzabile.
Era la carta più importante dell’inchiesta dell’accusa, che ritiene che la presunta assassina sia la moglie, che aveva di recente scoperto che il marito aveva un’amante a
Lecce. Principe ha sempre respinto ogni addebito. «Dovrebbe essere la parte lesa», ha precisato ieri il suo legale. Il processo andrà avanti quindi, senza autopsia, e senza alcun atto che dimostri che quella di
Treglia fu una morte violenta. La richiesta, inoltrata ieri alla Corte, dal
pm Cappelli, di riesumare il cadavere per fare un’altra autopsia, per ora non è stata accolta: la
Corte d’Assise si è riservata.
I parenti della vittima, tra cui una delle figlie della vittima, hanno assistito, in silenzio, al colpo di scena che va a favore della difesa. Non si sono costituiti parti civili. Non chiedono risarcimenti. Hanno pagato le spese dei funerali e vogliono soltanto capire se ci sarà giustizia per il loro caro. Ieri i carabinieri, a partire dall
’ex capo della Omicidi Vincenzo Berté, hanno aggiunto altri tasselli di un puzzle complicato: né il
118 né il medico che intervenne dopo scrisse dei segni sul collo e dei lividi trovati sul cadavere, «perché ognuno pensava che l’avesse fatto l’altro», ha precisato
Berté.
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Quando i militari perquisirono la casa della vittima, il telefono di
Treglia era misteriosamente sparito. Sono rimaste però, in un processo indiziario, le parole angosciate che
Treglia, due giorni prima di essere ucciso, diceva - con degli audio su WhatsApp - all’amante Monica, che si trovava in
Puglia: «Quando vengo giù, io voglio vivere con te». Era il 2 aprile 2021. Il 3 aprile: «Ha tentato di strangolarmi». E poi: «Se mi ammazzano, sai chi denunciare: è stata lei». Poche ore prima di spirare, l’ultima comunicazione: «Mi sta prendendo a botte»