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IL COLLOQUIO
04 Luglio 2023 - 08:38
Luca Caretti, segretario Cisl
Se non si sfruttano opportunamente i fondi del Pnrr, «la speranza rischia di trasformarsi presto in amara delusione». A lanciare l’allarme è il neo segretario generale della Cisl, Luca Caretti, che coglie l’occasione per incitare la politica ad aprirsi verso nuovi modelli in campo sanitario e non solo. «Serve coraggio per intraprendere percorsi nuovi e mettere in campo delle sperimentazioni, ma è l’unico modo per non restare fermi».
Segretario Caretti se dovessimo fissare oggi i pilastri del suo mandato, quali sarebbero?
«Sicuramente sarà necessario lavorare pancia a terra per sfruttare a pieno la grande opportunità legate al Pnrr. Ci auguriamo di poter uscire al più presto da questa fase di indeterminatezza che non ci fa fare i passi avanti che invece ci auguriamo per la nostra regione. Dopo la pandemia abbiamo visto il Pnrr come una grande possibilità di ripartenza, ma ora molte cose sembrano ferme».
Cosa non funziona?
«Facciamo un esempio concreto. Il ambito socio sanitario, uno dei grandi obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza era quello di realizzare una nuova rete di medicina territoriale. Ecco: per ora il progetto mi pare fermo sulla carta. Non possiamo permetterci di fallire. Serve fare scelte concrete. In particolare modo sul tema del personale, altrimenti rischiamo di costruire delle cattedrali nel deserto. Penso alle Case di Comunità, ad esempio. È chiaro che non sarannp in grado di funzionare se manca il personale. Penso anche alla gestione dell’assistenza per chi non è autosufficiente».
In che senso?
«Abbiamo passato anni a discutere del fatto che la cura delle persone anziane non possa limitarsi a un “parcheggio” nelle Rsa, eppure a oggi su questo tema stiamo facendo troppo poco. Capiamo tutte le difficoltà che comporterebbe un cambio di paradigma e siamo una organizzazione sindacale pragmatica e realistica, ma serve il coraggio di far scelte e sperimentazioni di modelli nuovi».
Ha già in mente un modello di sperimentazione?
«Sulla questione della non auto sufficienza credo sia necessario sedersi attorno a un tavolo con gli enti pubblici e provare a capire se siamo in grado di trasferire parte dell’assistenza che viene offerta nelle strutture, nelle case delle persone. Non è semplice, né dal punto di vista contrattuale né da quello professionale, ma se non si decide di avviare sperimentazioni si rischia di rimanere fermi. Non è solo un tema di assistenza: stiamo parlando di migliaia di posti di lavoro».
E uscendo dall’ambito sanitario. Dove servirebbe un’accelerata?
«Credo che dovremmo focalizzarci sull’importanza strategica del territorio piemontese come luogo di collegamento con il nord Europa. Penso alle potenzialità di sviluppo che si possono creare attorno agli assi di Genova-Rotterdam e Torino-Lione. È un’altra grande opportunità per attrarre imprese di qualità».
Si percepisce una sorta di tensione con le altre sigle sindacali. Che succede?
«Viviamo una fase altalenante che ho difficoltà a comprendere. Abbiamo fatto diverse manifestazioni sindacali nazionali e non ho capito l’iniziativa torinese della Cgil che si è sfilata dal fronte unitario».
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