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Gli auguri di Natale del cardinale ai giornalisti

La Chiesa secondo Repole: «Bisogna dare dignità a tutti»

Dal quadro della "Divina Maternità" agli sgomberi e al lavoro precario: Repole invita al dialogo, alla responsabilità e alla dignità per i giovani

La Chiesa secondo Repole: «Bisogna dare dignità a tutti»

L'incontro con i giornalisti

L’immaginetta di un olio su tela che riproduce la “Divina Maternità” (autore anonimo del XVIII Secolo), accompagna gli auguri dell’arcivescovo di Torino, il cardinale Roberto Repole, agli operatori dell’informazione. «Dal momento che Dio si è degnato di abbassarsi per gli uomini - scrive Sua eminenza -, facciamo in modo che l’uomo possa ascendere a Dio». In che modo, Repole lo spiega con parole semplici, ma con concetti dotti, citando teologi e filosofi, anche il francese Jacques Maritain, caro a Paolo VI e Jürgen Habermas , esponente della scuola di Francoforte. Apparentemente un “pensiero debole” che ricorda quello di Gianni Vattimo, in verità quello del cardinale è un insegnamento «realistico», ancorato saldamente a ciò che accade nella società e nella Chiesa. Nell’analisi dei fenomeni, dalle parole dell’arcivescovo emergono richiami a quella «sociologia della relazione» espressa negli studi di Pier Paolo Donati, l’allievo che, quantomeno, ha eguagliato il maestro, Achille Ardigò. Così Repole non si sottrae a commentare anche questioni recenti e spinose come lo sgombero di Askatasuna: «Tutti gli sforzi che vengono fatti anche da chi ha la responsabilità di governo nella città, allo scopo di cercare dei sentieri di dialogo, sono benefici. Sono queste le possibilità che abbiamo per riconnettere il più possibile il nostro tessuto sociale. Allo stesso tempo non possiamo non dire che ogni atto o forma di violenza non può che essere bandita. È evidente che non si può vivere in una città dove devi avere paura che ci siano degli atti di violenza».

Approfondendo il tema, il cardinale ha aggiunto: «Un fenomeno di questo tipo deve farci riflettere sul fatto che i giovani nelle nostre città spesso vivano con il terrore di diventare adulti. Si vive in un contesto di accelerazione continua imposto dalla modernità, questo genera un’ansia terribile soprattutto nei giovani». Un altro tema affrontato dal cardinale riguarda l’emergenza lavoro: «Io scriverei una lettera a tutti coloro che hanno la possibilità di operare perché questa città sia più bella, più giusta, più capace di dare dignità a ciascuno, al di là del colore della pelle, del censo, delle capacità intellettuali e psicologiche - ha sottolineato -. Chiederei che si attivino e che lo facciano in modo sinergico, senza contrapposizioni fra categorie, perché io penso che una delle malattie profonde del nostro tempo sia l’individualismo. Se mettiamo insieme le forze, anche se sono poche, allora queste diventano grandi». Lo scenario non è dei migliori, «non posso non essere preoccupato, anche se vedo persone che continuano a scommettere nonostante tutto, con la loro capacità di impresa, e questo credo che sia molto bello. Ma va davvero tenuto insieme con la grande precarietà che viviamo. Tre quarti dei lavori dei giovani sono a tempo determinato».

Infine, un auspicio e gli auguri: «Vivere il Natale come un grande punto interrogativo, posto su di noi e sulle nostre coscienze: vogliamo continuare a vivere in un mondo in cui ogni uomo, per il fatto stesso che è tale, abbia una dignità inalienabile, oppure vogliamo diventare qualcos’altro? Penso che sarebbe bello, cristiani e non cristiani che vivessimo il Natale all’insegna di questa domanda, che è una domanda aperta, perché in fondo è posta sul cuore delle nostre libertà. Perché, quando nella tradizione cristiana si dice che l’uomo è un macrocosmo, uno degli aspetti che determina ciò è la libertà dell’uomo, che è simile alla libertà stessa di Dio che ha deciso, liberamente e per amore, di farsi uomo».

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