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LA MOSTRA
16 Febbraio 2024 - 09:55
Gian Enzo Sperone
L’aula-auditorium del terzo piano a Palazzo Nuovo è piena: nonostante i tantissimi posti disponibili, la gente è in piedi. Fuori in corridoio altrettanti ascoltatori sono in un religioso silenzio. Dentro, al microfono, Gian Enzo Sperone è seduto alla cattedra. Le sue parole incantano il pubblico: non riescono a staccare gli occhi da quell’uomo e dai suoi racconti, aneddoti che il collezionista torinese, tra i più famosi nel panorama dell’arte, racconta con leggerezza ed informalità. Come quando accenna all’incontro con Mick Jagger e Andy Warhol: oppure della cena con uno dei monaci del Dalai Lama, a casa sua, con le lasagne che furono molto apprezzate dal Santo Uomo che era vestito in denim. E ancora, il suo percorso universitario: “Mi iscrissi a giurisprudenza e non era la mia strada, davo 3 esami all’anno: presto cambiai strada, lettere e filosofia. Fui allievo di Umberto Eco: un professore eccezionale, libertario, formidabile. Per me indimenticabile l’esame su Platone: dovetti ridarlo. La verità è che l’arte non si studia sui banchi di scuola, l’arte è un miraggio, un sogno” ricorda Sperone, lo sguardo fuori dalla finestra, verso la Mole Antonelliana, imponente e bellissima in un cielo azzurro: chissà se con questo sfondo così affascinante, in un incontro così profondo, si possa parlare della “pace fatta” tra Sperone e Torino. Il collezionista infatti aveva dichiarato, in un’intervista a CronacaQui, di aver con la città magica un rapporto a volte conflittuale.
E a proposito di introspezione, poco dopo Gian Enzo parla della sua mostra: 1.200 metri quadrati all’interno del Mart di Rovereto - fra 420 capolavori della collezione privata di Gian Enzo Sperone. Si intitola “L’uomo senza qualità. Gian Enzo Sperone collezionista”. Inauguratasi il 26 ottobre scorso la mostra si chiuderà il 3 marzo. Contano i pezzi e la genialità con la quale i curatori Denis Isaia e Tania Pistone, sotto la supervisione di Vittorio Sgarbi che ne ha ideato la genesi, hanno saputo allestire il prezioso materiale. Dipinti “minori”, Piccio, Anguissola, Bezzuoli, Benefial, Adler, Molteni, Mondino, Von Maron e Vouet, e incommensurabili, il Cristo alla colonna di Giovanni Martinelli, l’efebico Martire di Giovanni Colacicchi, il Davide incipriato di Giuseppe Angeli. Sculture, arte antica, moderna e contemporanea. Il tutto parte di un patrimonio immenso collezionato da Sperone, classe 1939, nel corso della sua esistenza, da quando, appena ventenne, figlio di operai di Carmagnola, ebbe il coraggio di seguire il proprio istinto spezzando il cordone ombelicale con un futuro già scritto e dedicarsi all’arte. “Questa mostra, per me è tutto: ho scoperto chi sono grazie a lei. È l’esperienza che mi ha svelato me stesso: un collezionista di arte spesso si annoia, una volta finito di parlare con gli artisti, quando arriva il momento di venderne le opere. Mi viene in mente Pirandello che diceva ‘scrivo per distrarmi da me stesso’: io ho scoperto invece me stesso una volta vista allestita la mia mostra. Io sono uno con mille desideri e velleità ma senza qualità tali da pensare che questo potesse succedere.” Conclude Sperone.
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