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L' ANALISI
25 Maggio 2024 - 20:14
Foto di repertorio
C’è un “filo rosso” che, oggi, corre come un fiume carsico per l’Europa e fa paura. Dal Califfato che gli studenti islamici hanno invocato ad Amburgo fino alle “tendopoli” nelle università in Europa e negli Usa. Un’allerta cominciata con il “pogrom jihadista” di Hamas dello scorso 7 ottobre a Kfar Aza e Beeri in Israele e che, ora, rischia di sfociare in un pericoloso rigurgito terrorista, persino, nelle nostre università. Specie se si pensa che dietro le proteste Pro Palestina - ormai diffuse a macchia d’olio in tutto il mondo occidentale - ci sarebbero importanti finanziamenti dal Qatar come affermava, nelle scorse settimane, il Jerusalem Post. Soldi provenienti, a quanto pare, dalla stessa Qatar Foundation che, negli anni passati, non ha fatto mancare importanti donazioni e contributi per finanziare la formazione islamista negli Usa e in Europa. Oltre che moschee e centri religiosi islamici dal 2012. Non è un mistero che anche a Torino l’organizzazione Qatar Charity, ad esempio, ha più volte elargito negli stessi anni contributi ai centri di preghiera sotto la Mole. Annunciando anche una donazione di oltre 25 milioni di euro per la costruzione di una «grande moschea» alle porte della città che, poi, non è mai stata realizzata. Petrodollari che, oggi, finanzierebbero anche le mobilitazioni contro Israele approdate nella sua forma più radicale anche all’Università degli Studi e al Politecnico, dopo più di otto mesi di manifestazioni praticamente a cadenza settimanale in numerose città, con radici profonde nel resto d’Europa.
La protesta a Sorbonne
Un quadro che si è fatto più complesso e preoccupante a partire dallo scorso 28 aprile quando oltre mille persone hanno sfilato ad Amburgo inneggiando alla “guerra santa” contro gli infedeli. A guidare la protesta degli studenti, in questo fragente, sarebbero stati i militanti di “Muslim Interaktiv”: un gruppo che rivendica il “culto identitario giovanile” in analogia con i movimenti estremisti e filonazisti come “Cittadini del Reich”, sfruttando i “social” da attrattiva per i più giovani. Non un caso, infatti, che abbiano oltre 20mila seguaci su Tik Tok e il loro “leader” non più di 26 anni. Si chiama Joe Adade Boateng, padre danese e madre tedesca, la guida delle mobilitazioni studentesche in Germania. Un universitario convertito all’Islam nel 2015 che da allora conduce una campagna con parole d’ordine sempre più violente contro l’assimilazione, a favore di un Islam sempre più politico a difesa dello stile di vita mussulmano. Il giorno dopo la manifestazione di Amburgo con cui gli islamisti hanno chiesto l’istituzione del Califfato in Germania, le mobilitazioni sono arrivate a Parigi dove, a fine aprile, sono state occupate le aule della della Sorbonne: la più prestigiosa università di Francia. Poi è toccato a Lille e alla sua Facoltà di Giornalismo con cronache che narravano di come i movimenti studenteschi filopalestinesi chiedessero l’interruzione di ogni rapporto di collaborazione tra le loro università e quelle israeliane. Un ritornello che è suonato identico anche in Olanda, Belgio, Finlandia, Spagna, Danimarca, Norvegia e, ormai da una ventina di giorni, anche in Italia. Nelle stesse ore in cui venivano sgomberati gli atenei negli Stati Uniti con centinaia di arresti e fermi tra i militanti, la protesta è approdata all’ombra della Mole Antonelliana con le stesse caratteristiche. Aule e corridoi trasformati in campeggi a rappresentare la condizione dei profughi. Bandiere della Palestina in ogni angolo. E le cattedre “occupate” anziché dai professori da quei “cattivi maestri” che non si sono fatti mancare nemmeno di scimmiottare i feroci assassini del jihad con tre studentesse avvolte nella keffiah come fossimo in Iran. O a Gaza. Nelle grinfie di Hamas.
Il movimento "Muslim Interaktive"
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