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arte spazzatura
24 Giugno 2024 - 06:00
Marina Abramovic al Moma di New York
Soggetti poco raccomandabili, Marina, presunta icona dell’arte, ma anche e soprattutto i suoi apologeti di qualsiasi parrocchia, quella dei creduloni impressionati dalle boutades pseudorivoluzionarie dell’ “artista” e quella di coloro che sulla dabbenaggine dei primi hanno raccolto in decenni e decenni montagne di quattrini. Ma cos’è mai l’arte? Una volta, per poter rispondere, toccava consultare l’enciclopedia, se papà l’aveva comprata e messa in libreria. O si andava in biblioteca, consulta, studia e rispondi altrimenti ti boccio! Oggi, imbarazzante dirlo per chi si ricorda i vecchi tempi, è semplicissimo: vai su Google e te lo spiega al volo. Allora leggiamo insieme e vediamo chi sarebbero questi benedetti artisti secondo Wikipedia. Ma anche secondo la Treccani. Parliamo di pittori, scultori, scrittori, musicisti, architetti. Estendiamo pure e giustamente la definizione a chi danza o recita con perizia e leggiadria. Poi fermiamoci qui, se non vogliamo cascare in approcci e modalità che destinano diplomi e patenti da artiere, nel senso carduccianamente nobile, a canili e porcilai vari. Gli artisti, quelli veri, non sono improvvisatori o ciarlatani. Caravaggio era un banditello, un furfante, forse un assassino ma il pennello lo sapeva ben usare, vivaddio!
Una performer, ossia una provocatrice per soldi
Abramovic non dipinge, non scrive, non scolpisce, non canta, non suona, non danza, non progetta. Forse recita, ma è una pessima parte. Ieri, da grande ospite d’onore, è venuta a impartire la lectio magistralis a 120 malcapitati studenti della vecchia benemerita Accademia torinese, che una volta sfornava artisti di alto livello e storici e critici e giovani studiosi delle belle arti. E il pennello lo considera al massimo un organo sessuale. Nel senso pittorico non ricorda neanche cosa sia, dopo aver frequentato l’accademia artistica della Belgrado rossa e anti-italiana di Tito, il maresciallo grande amico di Sandro Pertini.
Lei è certamente divenuta uno straordinario personaggio, una serba che sembra non invecchiare mai, nonostante i 78 anni. Bella forse no, ma portatrice di un fascino irresistibile perché capace di tutto, con quel viso slavo dagli zigomi inesistenti, con quello strano sorriso tra l’enigmatico e il perfido, quelle labbra carnose e le forme spesso esibite a nudo.
Figlia di due dirigenti del partito comunista capeggiato dall’infoibatore slavo diviene fin da giovane una agit-prop, un’agitatrice di propaganda, ma non del partito o dell’idea: il prop, nel suo caso, può esser letto come “in proprio”, perché fin dagli esordi riesce a trasformare le sue fantasie più perverse in una provvidenziale zecca di banconote. Una costante delle sue performance consiste nel mettere il suo corpo, con autolesionista e compiaciuto masochismo, a disposizione del pubblico, stimolandone il voyeurismo. Spesso si inferisce tagli e ferite, talora scopre come scatenare il sadismo degli spettatori sdraiandosi nuda sul ghiaccio, incidendosi il ventre a sangue con una lama affilata per poi versarci sopra dell’acqua bollente. Al Moma di New York sta 8 ore al giorno per tre mesi seduta davanti ad un tavolo al capo opposto del quale, su un’altra sedia, si alternano i visitatori (si calcola siano stati 750mila) desiderosi di poterla fissare qualche minuto in volto.
Trascorre quattro giorni nuda issata su tonnellate di ossa sanguinanti di mucche morte. Arriva a promuovere ricette “afrodisiache” a base di sperma e di sangue di maiale, produce video che trasmettono le immagini di numerosi uomini che si masturbano, e così via, in oltre mezzo secolo di volgari e ripugnanti provocazioni, in cui qualcuno è arrivato a intravedere lo spettro di pratiche sataniste.
Nemica dell’arte
Marina Abramovic, di quella che noi continuiamo a considerare la vera Arte, è una terribile nemica. È una persona che ha usato ogni mezzo anche ideologicamente violento per contrabbandarci come artistiche le sue bravate, costruite solo con l’obbiettivo di “épater le bourgeois”. Missione sostanzialmente compiuta, con grande ritorno economico, sia personale che per i suoi sponsor, comprese alcune istituzioni che da museo si son riconvertite a grandi magazzini.
Ma quella di Abramovic e dei suoi sostenitori, dell’una e dell’altra delle summenzionate parrocchie, non solo non è arte, ma una violenta e pervasiva incultura. È violenza concepire la creatività artistica come una mera strategia di marketing acchiappagonzi, livellare e anestetizzare i gusti estetici a fini commerciali, indicare scorciatoie e non percorsi autentici, pensare a come stupire o spaventare il pubblico e non a generare un orizzonte che sappia guardare non solo all’antico ma anche al moderno, con i grandi artisti che dal cubismo. al futurismo, al dadaismo seppero emozionare e coinvolgere nelle proprie attività e nelle proprie opere con trasgressione e originalità, genuine e non artificiali, pretestuose e manipolatorie.
Ma leggiamo cosa scrive, nel suo saggio “L’inverno della cultura” l’Accademico di Francia, conservatore al Musée national d’art moderne, già direttore del Museo Picasso, Jean Clair: «Dal dopoguerra (1945, ndr) è iniziato un drammatico declino, segnato da scandali, da rivoluzioni permanenti, dalla tirannia di un nuovo senza origine. Siamo nella geografia del negativo. In un teatro di pantomime burlesche: un teatro festivo e funebre, venale e mortificante, contagiato da blasfemie». L’artista del nostro tempo non è più un profeta: pratica la dissacrazione, la profanazione, il furore omicida, fin dai proclami del manifesto surrealista dove «il più semplice atto consiste, rivoltelle in pugno, nello scendere in strada e sparare a caso, a più non posso, sulla folla» (secondo manifesto del surrealismo). Quelle di Abramovic non sono dunque sfide di innovazione artistica ma triviali offese all’Arte con la maiuscola che solo generazioni prive di senso critico possono subire e, talora, addirittura apprezzare.
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