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Opinione & Commenti

Il tribunale delle ipocrisie: perché la Corte Penale Internazionale fallisce nel suo compito

Il caso Netanyahu: politica, propaganda e "morale" occidentali minano la credibilità del diritto globale

Il tribunale delle ipocrisie: perché la Corte Penale Internazionale fallisce nel suo compito

La Corte Penale Internazionale ha emesso un mandato di cattura nei confronti del premier israeliano Netanyhau per crimini di guerra. Per Matteo Salvini "è una sentenza politica". Ospitiamo quei un doppio intervento, dell'avvocato Mauro Anetrini, studioso di diritto internazionale, e del nostro commentatore politico Walter Altea.

Nel lontano 1938, Carl Schmitt, raffinatissimo giurista germanico, pubblicò un saggio che, io penso, sarebbe bene conoscere prima di avventurarsi in giudizi sulle iniziative della Corte penale internazionale.
Diceva, in sostanza, Schmitt che la guerra, da sempre, è un fatto tecnico, del quale non può predicarsi aggettivazione alcuna e che l’innesto di una qualificazione etica - giusta, ingiusta - a far tempo dalla istituzione della Società delle Nazioni (l’Onu di oggi, insomma), ne ha completamente stravolto il significato.
Da quel momento - ossia dal 1919 -, in altre parole, si è preteso di dire se una certa guerra sia o no una buona guerra e se sia stata condotta nel rispetto dei principi universalmente riconosciuti.
Questa è stata la base giuridica del processo di Norimberga e, oggi, rappresenta il fondamento del mandato di cattura contro il Premier israeliano. Semplice, sembrerebbe. Invece, no: pericolosissimo.
Accantonata ogni considerazione sul fatto che non tutti gli Stati del mondo hanno aderito al Trattato istitutivo della Corte (non gli Stati Uniti, non la Russia e neppure la Cina), non si può trascurare l’ interferenza politica nelle decisioni giudiziarie della Corte (qualcuno ha mai visto un vincitore sul banco degli imputati?), ma soprattutto si deve sottolineare la potenziale (probabile) inefficacia delle decisioni, che gli Stati (anche quelli aderenti al Trattato) possono non eseguire.
Le cose che viviamo sono frutto di un percorso, che, in questo caso, nasce con la pretesa di affermare la distinzione tra guerra giusta e guerra ingiusta.
Urbano II lo declamò dal pulpito di Clermont: Deus vult, così giustificando l’invasione della Palestina occupata dal nemico mussulmano.
Schmitt, dunque, aveva ragione: c’è solo la guerra. Il resto, aggiungo io, è vero tifo da stadio.
Avvocato Mauro Anetrini

Quando frequentavo la facoltà di Scienze Politiche all’Università di Torino, ahimè tanti anni fa, vi erano prestigiosi maestri come Bobbio ed i suoi allievi e il giovane Bonanate per le Relazioni Internazionali. Ricordo perfettamente le lezioni sulla giustizia politica e per conseguenza il grado di legittimità giuridica di processi come quello di Norimberga, citato nel suo intervento dallo studioso avvocato Mauro Anetrini. Il principio era ed è lo stato di fatto, determinato da un contendente vittorioso in una guerra e di un perdente. Nella guerra tra nazioni la vincitrice detiene il weberiano monopolio della forza e pertanto avoca, o arroga, a sé stessa in un quadro giuridico novativo il diritto di giudicare secondo modalità, principi, e valori il nemico sconfitto.

L’approccio di Anetrini è di tipo giuridico e non risolve completamente i vari nodi problematici che pone l’azione della Corte Penale Internazionale (Cpi). È vero come insegna Carl Schmitt che non si deve o meglio non si dovrebbe attribuire alla guerra un giudizio di valore: giusta/ingiusta o santa (sembra un’evocazione medievale e invece è terribilmente attuale); ogni aggettivazione della guerra è sempre una propaganda ipocrita che nasconde il forte connotato politico. Anche Putin è oggetto di un mandato di cattura per la guerra che sta conducendo contro l’Ucraina ma è di tutta evidenza la “difficoltà” del suo arresto e la legittimità di una sua eventuale condanna, dopo il processo, da parte di un tribunale non riconosciuto dalla Russia. È evidente che siamo di fronte a chiarissimo caso di giustizia politica. Come è altrettanto evidente che un tribunale internazionale che venga istituito non dal consesso di tutte le nazioni ma solo da alcune di esse (l’Italia ha aderito nel 2014) non può avere la legittimità di giudicare crimini di portata universale come il genocidio, o altri reati contro l’umanità, che comunque vanno accertati e determinati nella loro consistenza giuridica.

Il mandato di cattura emesso dal procuratore scozzese Karim Khan della Cpi contro il premier e il ministro della difesa israeliani Netanyahu e Gallant e di tre capi terroristi (Sinwar, Haniyeh e Deif forse già morti) mette sullo stesso piano gli esponenti di Hamas che ha nello statuto la distruzione di Israele e degli ebrei. Coloro che hanno condotto il pogrom del 7 ottobre stuprando e massacrando civili israeliani, che utilizzano come scudi umani i civili e le infrastrutture ospedaliere palestinesi con gli esponenti, liberamente eletti, di uno stato accerchiato da nazioni che vogliono cancellarlo dalla faccia della terra e che viene martellato quotidianamente da razzicontto la sua popolazione civile. È palmare l’azione politica della Cpi e questo, ove ve ne fosse ancora bisogno, discredita irrimediabilmente la Corte che oltretutto agisce contro gli esponenti di uno stato, Israele, fuori dalla sua giurisdizione. Per commentare il pensiero di Anetrini su questa giustizia internazionale che si permea di valori come la virtù (gli stati virtuosi) e dei principi moraleggianti e utopistici delle ormai anch’esse screditate Nazioni Unite, piace anche a me citare Carl Schmitt che in un dibattito nel 1959 a Ebrach a seguito di una conferenza si speculò sulla fine del concetto di virtù, che atteneva allo stato assoluto e non rientrava nel sistema di legalità dello stato di diritto. Nel secondo dopoguerra il concetto di “virtù” venne comunque gradualmente diluito e trasformato in “valore”. E sempre più questi “valori” permeano i principi giuridici in occidente, tanto che Schmitt già allora chiamava quella tendenza “la tirannia dei valori”.

Il mito della giustizia umanitaria mondiale, così come l’intende la pubblica accusa della Cpi che ha azionato i mandati di cattura è una chiara azione politica informata dai valori del mondialismo politicamente corretto e del wokismo avanzante, una misura morale che poco ha a che fare con la giustizia e molto col “Follemente corretto”, come ci spiega molto bene Luca Ricolfi nel suo ultimo libro.

Walter Altea

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