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LA STORIA
15 Dicembre 2024 - 08:15
VIOLA
Chiamiamola Viola. Un nome di fantasia per proteggere un’identità che va tutelata. Ha 19 anni, è una ragazza come tante e si è ritrovata prigioniera di un amore malato: sequestrata nella stanza di un motel, con la paura di essere uccisa tra quelle quattro mura sconosciute. La sua storia è finita bene ma lei ora ha deciso di raccontarla: vuole che diventi un grido d’allarme, un esempio per tutte le donne che vivono una relazione violenta e non trovano la forza di chiedere aiuto.
Occhi e capelli scuri, tiene la voce bassa e le mani intrecciate sul grembo. Per Viola è la prima volta, non ne ha mai parlato. Seduta in un angolo, il viso verso la finestra, guarda fuori. Torna indietro, a 5 anni fa, quando appena 14enne incontra quel ragazzo che sembrava così affettuoso da farla innamorare. Una storia che comincia in un altro continente, in un posto con una cultura diversa: le loro famiglie si conoscono e approvano la relazione. Poi c’è l’arrivo in Italia. Viola, adolescente, si trasferisce a Torino mentre lui va a vivere a 250 chilometri. Si vedono due o tre volte al mese ma si sentono tutti i giorni. Tutto il giorno.
Perché lui vuole così. E pretende di sapere sempre dove si trova lei tramite la localizzazione dello smartphone: «Mi vietava di utilizzare qualsiasi social, non potevo avere amici maschi». Se esce, deve essere sempre raggiungibile: lui potrebbe videochiamarla e lei deve rispondere. Campanelli d’allarme di cui si rende conto solo oggi: «Pensavo: “Fa così perché mi ama”». Poi c’è stata la prima violenza fisica: «Eravamo in macchina, lui mi stava controllando il telefono, ha trovato un innocente video su TikTok. Prima mi ha presa a schiaffi, poi urlando mi ha tirato i capelli e mi ha chiuso un braccio nella portiera». Viola comincia a capire e cerca di allontanare il fidanzato. Ma lui è sempre lì: sotto casa, davanti a scuola, implora perdono. «Mi sono illusa potesse cambiare, così l’ho perdonato».
Ma non cambia nulla. Anzi: la coppia organizza un viaggio vicino a un lago per festeggiare il ritorno insieme. Ma è l’inizio di un nuovo incubo. Lui le controlla il cellulare e trova un vecchio profilo Facebook, creato durante il periodo di pausa per un’amica. Lui non le crede. Ha disobbedito e merita una “punizione”. Salgono nella camera d’albergo, Viola è in trappola: «Prima mi ha tolto il telefono, poi ha cominciato a picchiarmi». Un pugno in un occhio, che rompe alcuni capillari. Un altro, dritto nell’orecchio, le spacca il timpano: «Diceva che mi avrebbe uccisa, buttandomi nel lago». Otto lunghissime ore di reclusione prima che lui decida di riportarla a casa. Ma prima una signora delle pulizie riesce a confidarle che ha sentito tutto. Le offre aiuto ma Viola rifiuta, le risponde che va tutto bene: «Forse, dicendolo a voce alta, volevo convincere anche me stessa». Al ritorno, lui continua a ricattarla e a dirle non denunciare: «Ho sbagliato, avevo paura potesse fare del male a me o alla mia famiglia».
Anche perché, quando litigavano e facevano pace, lui sembrava davvero dispiaciuto: «Mi diceva che era l’ultima volta, la verità è che non c’è mai un’ultima volta». Oggi Viola è libera, lui è sparito da qualche tempo. Ha scelto di raccontare la sua storia sperando di poter dare un messaggio alle ragazze che si ritrovano nella stessa situazione: lei ha capito cosa non è l’amore, ha capito che si vede fin dai primi segnali e che non bisogna avere paura di parlarne. Viola oggi sta bene, ha incontrato persone che l’hanno aiutata. È tornata ad essere la ragazza solare di una volta, anche se l’amore la spaventa, non si fida. Forse un giorno arriverà e in fondo ci spera.
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