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CARCERI

Lettere dal "carcere più difficile d'Italia" ecco cosa scrivono i detenuti

Il numero delle persone che si trovano recluse alle Vallette oscilla tra i 1380 e i 1480: i posti regolamentari sono 980

Lettere dal "carcere più complesso d'Italia" ecco cosa scrivono i detenuti

Lettere dal "carcere più difficile d'Italia" ecco cosa scrivono i detenuti

Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha riconosciuto la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno come l’istituto più complesso d’Italia. Questa definizione deriva dal fatto che al suo interno coesistono tutti i circuiti penitenziari. “Una varietà che crea enormi difficoltà: un recluso in alta sicurezza necessita un percorso diverso da un collaboratore di giustizia, come un tossicodipendente da chi si è macchiato del reato di sex offender” spiegava la dottoressa Monica Gallo, garante dei diritti di delle persone private della libera personale per il Comune di Torino. Il numero delle persone che si trovano recluse alle Vallette oscilla tra i 1380 e i 1480: i posti regolamentari sono 980. Un sovraffollamento che supera il 120%. Nei mesi scorsi il nostro giornale ha scelto di seguire il carcere “da vicino”, entrando dentro a conoscere la realtà di chi tutti i giorni si trova in quel posto che appare così lontano dalla quotidianità: detenuti, agenti di polizia penitenziaria, persone al servizio del carcere.

Oggi arrivano in redazione alcune lettere scritte proprio dai detenuti, a mano, affrancate e spedite. Come quella di Diego, che racconta di un luogo sovraffollato e di una struttura giudiziaria in crisi, la mancanza di un progetto che potrebbe aiutare i reclusi ad avere una possibilità di reinserimento lavorativo - che li farebbe accedere anche a pene alternative, come l’art.21, quello che prevede lapossibilità della semilibertà grazie al lavoro. Infatti alle Vallette solo un terzo dei detenuti lavora: ci sono ammirevoli progetti di imprese che hanno scelto di investire e creare posti di lavoro, ma non c’è spazio per tutti.

Diego parla anche del dolore che porta la distanza dagli affetti e dalla famiglia. Nella sua lettera si chiede “cosa costerebbe aumentare il numero delle chiamate a casa? Al momento possiamo farne tra le 4 e le 8 al mese”. Le chiamate durano 10 minuti. “I detenuti non possono essere considerati come altri cittadini in quanto vivono una realtà non compatibile con ciò che è fuori” spiega la dottoressa Alessia Costanzo di Aleda Aps, da anni al servizio nelle carceri. Costanzo ricorda che tra i diritti fondamentali per i detenuti c’è quello all’affettività. Alessandro intitola la sua lettera con “Io, detenuto”. Parla di spazi limitati, dove in un quadrato dormono, cucinano e defecano. “Dopo un po’ non ho nemmeno voglia di uscire nelle ore d’aria: nei “passeggi” cammini avanti e indietro e spesso ti trovi in mezzo a gente che si azzuffa”. I problemi di Alessandro sono legati agli stupefacenti (e si stima che dietro le sbarre vi siano una percentuale del 50% di reclusi per reati legati alla droga). Il giovane aspetta da mesi di avere risposte in merito alla possibilità di entrare in una vera comunità “ma ogni mattino di pronto c’è solo il caffè che mi prepara il mio concellino Davide”.

Alessandro qualche mese fa si è trovato con “due costole conficcate nel polmone dopo una discussione con tre rumeni. Ma ero contento, nonostante fossi ammanettato, di cambiare aria”. Poi c’è Leo: una lunghissima lettera che parla di malessere “Se nemmeno le ostiche immagini dei telegiornali hanno smosso le coscienze impossibili, se nemmeno i morti da ambo le parti - perché anche gli agenti penitenziari sono esasperati in questa condizione senza via d’uscita - a chi rivolgersi se non ai media, per parlare al popolo?”. Leo dedica una lunga riflessione su come l’attenzione mediatica sia relativa solo alle notizie legate alle rivolte. C’è poi da considerare anche il fattore famiglie.

C’è Noemi, 4 figli, il suo compagno dentro: “Lui ha 6 ore al mese per vedere i piccoli. Nessun aiuto psicologico o economico se non da alcune realtà del terzo settore. Recentemente gli è stato negato il permesso di un’ora per venire al battesimo del più piccolo”. Tra chi ci ha contattato c’è anche una mamma. “Mio figlio, M., ha conosciuto il carcere quando era minorenne. Errori ne ha fatti, ma da 3 anni è alle Vallette, 1200 km da casa e dalle persone con cui ha commesso reati. È solo. Si sta laureando. Lavora, da sempre. Recentemente ha chiesto un permesso. Niente da fare, negato”.

Nel frattempo, siamo a 86 detenuti che si sono suicidati in Italia nel 2024. Un “record”. Il numero più alto di sempre. Più tentativi di autolesionismo, come raccontava Leo. “Alcuni detenuti cercano disperati tentativi di comunicazione e c’è chi non sopportando la carcerazione trova nel suicidio una soluzione” conclude la dottoressa Costanzo “il carcere non è un’istituzione lontana dalla società, bensì è dentro la società e non si può fare finta di nulla, non si possono non ascoltare grida di dolore”.

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