l'editoriale
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Il commento
07 Giugno 2025 - 05:50
Ultimo giorno di scuola, o meglio, ultimo giorno prima di un’estate che sembrava infinita. Quanti di noi, appartenenti alle generazioni più anziane, conservano nel cuore il ricordo di quell'ultimo giorno di scuola come un'epifania di libertà? Un giorno in cui, con un misto di allegria e spensieratezza, si lanciavano i libri per aria, si bruciavano quaderni ormai inutili, e si salutava la scuola con la sensazione che il tempo davanti fosse davvero tutto da vivere, senza limiti, senza pensieri. Un’estate lunga, sospesa, che durava fino a ottobre, il mese che segnava la riapertura della scuola.
Oggi, però, le cose sono cambiate. Il suono della campanella che segna l’inizio delle vacanze non ha più lo stesso sapore. In molte scuole, il clima di gioia e liberazione è offuscato da una nuova "tradizione": i compiti delle vacanze. Non solo i compiti, ma anche i libri da leggere vengono distribuiti insieme all’ultimo giorno di scuola. E non è tutto. Gli insegnanti, in molte scuole elementari, non si limitano a raccomandare o a consigliare; ordinano di portare zaini, carrelli, praticamente un intero arsenale di materiali didattici. Un’inutile e preoccupante manifestazione di ciò che, negli anni, è diventato uno dei simboli della maledizione dei compiti delle vacanze.
Il problema, come per tutte le cose che ci vengono imposte, non è tanto il fatto che i compiti esistano, quanto il modo in cui li viviamo. Il rituale, oggi, sembra voler chiudere la porta a qualsiasi forma di spensieratezza. Le vacanze, quei pochi mesi di respiro in cui un ragazzo potrebbe davvero "staccare" dalla scuola e dalla sua routine, diventano solo un altro spazio da riempire con doveri. Siamo passati da una visione romantica del tempo libero, che si tingeva di libertà, a un modello che, seppur benintenzionato, finisce per sottrarre spazio alla creatività, al gioco, al semplice "non fare niente", che è forse la forma più alta di crescita di un giovane.
Le generazioni precedenti sono cresciute con un'idea di vacanza completamente diversa. Non c’erano compiti da svolgere sotto l’ombrellone o ore spese sui libri mentre il mondo esterno sembrava chiedere di essere esplorato. Le vacanze estive erano un atto di resistenza all’organizzazione rigida e codificata della vita scolastica. Il pensiero di trascorrere un'estate senza pensieri, senza ore da dedicare alla lettura di testi imposti, era una forma di libertà difficile da comprendere per chi non l’ha vissuta.
Cosa è cambiato? Il concetto di tempo. Se un tempo l’estate sembrava non finire mai, oggi la percezione è totalmente differente. Con l’arrivo dei compiti per le vacanze, la sensazione di infinita spensieratezza è sparita. Le vacanze si sono trasformate in un’estensione della scuola, in una parentesi in cui i ragazzi continuano a sentirsi sotto il controllo di un sistema che non gli consente di prendersi un reale stacco. In fondo, si è passati dalla concezione di "vacanza" a quella di "continuazione". E, per certi versi, la scuola non ha mai chiuso davvero i battenti.
I genitori, poi, sono spesso in trincea. Non basta più l’annuncio dell'assenza di compiti per la settimana. Oggi ci si ritrova a fare i conti con un altro tipo di "compito", che ha a che fare con la gestione del tempo e dell’energia di un ragazzo durante l’estate. Il timore che i compiti possano trasformarsi in una continua fonte di stress e conflitto, per entrambi – studenti e genitori – è reale. Eppure, nessuno sembra mettere in discussione questa prassi.
Le vacanze, oggi, sono diventate una forzatura, una parentesi obbligata in un mondo che non conosce più la libertà del "non fare niente". Eppure, c’è chi sostiene che l’assenza di compiti, di letture obbligatorie, potrebbe essere il primo passo per riportare quella freschezza mentale che solo il riposo genuino può garantire. Ma, fino a quando non sarà messa in discussione questa tradizione, le generazioni future continueranno a vivere un’estate che non è mai davvero tale.
Alla fine, si potrebbe pensare che la vera "rivoluzione" stia nel permettere ai ragazzi di vivere il tempo delle vacanze come una possibilità di crescita spontanea, che non passa attraverso un’agenda scolastica. Gli studenti di ieri, quelli che davvero sapevano cos'era una vacanza, potrebbero suggerirci che la vera "lezione" estiva sta nell’arte del non fare nulla, quella che insegna a "ricaricare" la mente, proprio come un libro che, per respirare, ha bisogno di essere chiuso per un po’ di tempo.
Ecco, forse sarebbe proprio il caso di abolire i compiti per legge.
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