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Curiosità
11 Settembre 2025 - 17:45
Quando camminiamo per strada, raramente abbassiamo lo sguardo verso i tombini. Eppure, sotto i nostri piedi, questi oggetti di ghisa raccontano storie che vanno ben oltre la loro funzione pratica. Utilizzati per secoli come semplici strumenti per proteggere e organizzare la rete fognaria, i tombini sono in realtà piccoli testimoni silenziosi delle città che attraversano.
Alfonso Morone, docente di design all’Università di Napoli, ha dedicato quattro anni a studiare e catalogare 248 tombini sparsi in tutta Italia, raccogliendo fotografie di Enzo Papa e contributi grafici di Marco Sorrentino. Il risultato è il libro Tombini d’Italia, un viaggio nel design industriale di oggetti apparentemente comuni ma straordinariamente ricchi di dettagli e storia.
Nati durante la Prima Rivoluzione Industriale, i tombini furono progettati con un obiettivo chiaro: garantire sicurezza e funzionalità nelle strade. I rilievi superficiali, che oggi notiamo appena, servivano a evitare scivolamenti. Nonostante la loro semplicità, ogni tombino porta con sé tracce del tempo, simboli, marchi e persino segni del passato politico e tecnologico del nostro Paese. A Milano, ad esempio, si possono ancora trovare fasci littori risalenti al periodo fascista, sopravvissuti a decenni di trasformazioni urbane.
Oggi il tombino rimane un archetipo di sostenibilità: realizzato in ghisa, materiale resistente e riciclabile all’infinito, continua a svolgere la sua funzione originaria senza necessità di aggiornamenti tecnologici. Piccoli esperimenti di innovazione—come l’uso di materiali compositi o nuove lavorazioni della ghisa—dimostrano che persino un oggetto così semplice può adattarsi ai tempi moderni.
Ma il design urbano non si limita ai grandi edifici o ai monumenti: anche elementi apparentemente marginali come panchine, lampioni, fioriere e persino i tombini possono essere oggetto di creatività e attenzione progettuale. Come sottolinea Alberto Bonazzi in un articolo su Outpump, il design urbano deve rapportarsi a molteplici utenti, creando oggetti funzionali ma al contempo esteticamente coinvolgenti e comunicativi.
Su questa scia, nel 2012 i designer Giulio Iacchetti e Matteo Ragni hanno affrontato la sfida di valorizzare i tombini, trasformandoli da oggetti trascurati e “anonimi” in veri e propri elementi espressivi della città. La serie di tombini “Sfera”, prodotta in collaborazione con l’azienda Montini, ha reinterpretato la superficie dei chiusini senza modificarne dimensioni, tecniche produttive o materiali. Ogni design porta con sé un significato:
Urbe, con la traccia diagonale del battistrada di un tir, pensata per le strade;
Signum, con le impronte di un uccellino, dedicata alle aree verdi;
Eclipse e Copernico, che raccontano la ghisa sferoidale anche a livello concettuale e chimico-fisico.
Questa reinterpretazione ironica ed espressiva ha permesso a Iacchetti e Ragni di vincere nel 2014 il Compasso d’Oro per la seconda volta, confermando come anche oggetti “dimenticati” possano diventare icone di design anonimo. Come i celebri “panettoni” di Enzo Mari, anche questi tombini dimostrano che il buon design spesso risiede in oggetti che non creano problemi e passano inosservati, pur essendo frutto di studio, creatività e significato.
Questi tombini si possono trovare praticamente ovunque in Italia, confermando la loro natura di oggetti urbani capillarmente diffusi, incontrati quotidianamente dai cittadini senza che quasi nessuno conosca chi li abbia progettati.
Morone definisce più volte i tombini “roses in the street”, veri e propri cataloghi numismatici della storia urbana. E in fondo, osservando con attenzione, ogni città racconta se stessa attraverso i suoi tombini: un mosaico di design, tecnologia e memoria collettiva, sotto i nostri passi quotidiani. Ogni tombino è oggi geolocalizzato e associato al numero civico, trasformandosi in una guida insolita per chi desidera scoprire la città attraverso i dettagli più nascosti e spesso ignorati.
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