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L'evento
19 Novembre 2025 - 19:56
Un’occasione sfiorata di avere non una, ma due donne Premio Nobel per la Medicina. Una di loro fu Rita Levi Montalcini, premiata nel 1986, l'altra, Filomena Nitti, brillante biochimica napoletana, figlia dello statista Francesco Saverio Nitti e per anni collaboratrice scientifica – oltre che moglie – di Daniel Bovet, Nobel 1957. È questa l'ingiustizia che ora la giornalista e scrittrice Carola Vai vuole riportare alla luce nel libro “Filomena Nitti e il Nobel negato”, pubblicato da Rubbettino.
Il volume, presentato in anteprima al Salone del Libro di Torino, sarà protagonista di un nuovo appuntamento giovedì 20 novembre alle 18 al Circolo della Stampa di Torino, in corso Stati Uniti 27. Con l’autrice dialogheranno Stefano Tallia, presidente dell’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, Elisabetta Sardi, medico e direttore sanitario, e Claudia Tomatis, giornalista e responsabile di Ansa Piemonte.
Coetanea della Montalcini, Filomena Nitti partecipò pienamente – e da pari – alle ricerche che condussero Bovet al Nobel. Eppure, il suo contributo non le venne riconosciuto. Le ragioni restano aperte: pregiudizi di genere, un cognome politicamente ingombrante, o forse il peso di una vita familiare affrontata con dedizione assoluta.
Nata a Napoli nel 1909, cresciuta tra Roma e la Basilicata, Filomena vide la sua vita stravolgersi con l’ascesa del fascismo. Minacce, aggressioni e persecuzioni spinsero la famiglia Nitti a rifugiarsi all’estero: prima in Svizzera, poi a Parigi. Nella capitale francese la giovane scoprì una nuova libertà, studiò, si sposò giovanissima, ebbe due figli, e lasciò il marito per costruire una nuova vita.
A Parigi vinse una borsa di studio per il Pasteur, dove lavoravano il fratello Federico e Daniel Bovet. L’incontro con quest’ultimo divenne presto una collaborazione scientifica intensa e una relazione destinata a durare.
Finite la guerra e le difficoltà dell’esilio, la coppia si trasferì a Roma, all’Istituto Superiore di Sanità. I loro studi apparivano sulle principali riviste internazionali, sempre firmati da entrambi. Ma nel 1957 il riconoscimento arrivò solo a Bovet. Filomena tacque, come sempre. Solo nel 1985, con ironia, disse ai giornalisti:
«Avendo sposato un genio, ho fatto quello che fanno le donne: tutto quello che serviva a lui per alleggerirgli la vita. Ma l’ho fatto con piacere».
Gli anni successivi furono segnati da tragedie familiari e dalla malattia del marito. Dopo la morte di Bovet, Filomena raccolse l’intero patrimonio scientifico della coppia e lo consegnò al Pasteur, come già aveva fatto con gli archivi del padre donati alla Fondazione Einaudi. In età avanzata dovette affrontare anche lo sfratto dalla casa di Piazza Navona, concessa dall’Inail, ente fondato proprio da suo padre. Morì nel 1994, a 85 anni.
Solo nel 2024, trent’anni dopo la sua scomparsa, l’Istituto Superiore di Sanità ha aggiunto il nome Filomena Nitti accanto a quello di Bovet nell’aula dedicata allo scienziato: un gesto simbolico ma significativo, che tenta di restituire dignità a una scienziata a lungo dimenticata.
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