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I miliardari delle crypto

Tether sbarca a Wall Street (e accumula oro): a cosa puntano Devasini e Ardoino? Gli scenari per gli investitori

Debutto via Spac sul Nyse, 116 tonnellate di oro acquistate e le incognite del rating per colpa dei Bitcoin

Tether sbarca a Wall Street: Twenty One Capital tra bitcoin, oro e un rating che fa discutere

Martedì 9 dicembre Twenty One Capital debutterà al Nyse attraverso la fusione con la Spac Cantor Equity Partners. A guidarla sarà Jack Mallers, figura di spicco del mondo cripto. Gli azionisti di maggioranza? Tether, emittente di USDT – la stablecoin più diffusa al mondo, che l’azienda stima usata da circa 500 milioni di persone – e l’exchange Bitfinex, entrambe sotto l’ombrello di iFinex. L’obiettivo è chiaro: accumulare e gestire bitcoin, offrendo un’esposizione quotata a chi preferisce la Borsa alla chiave privata. Un’idea che richiama il modello reso celebre da MicroStrategy di Michael Saylor. E intanto Tether accumula oro. A cosa puntano il misterioso Giancarlo Devasini e Paolo Ardoino, i miliardari delle crypto nonché soci della Juventus? Ecco gli scenari.

Lo sbarco a Wall Street
Twenty One Capital nasce per portare il “digital gold” nei listini tradizionali. Dopo la business combination, Tether e Bitfinex deterranno il 58,8% del capitale e oltre il 70% dei diritti di voto. Tether, da sola, esprimerà una supermaggioranza pari al 51,7% del voto. SoftBank Group, la holding di Masayoshi Son, manterrà una quota di minoranza rilevante, attorno al 24%. Il resto del capitale sarà in mano agli azionisti pubblici di Cantor Equity Partners e allo sponsor della Spac, Cantor Fitzgerald, la società della famiglia Lutnick; Howard Lutnick, già ceo, è stato nominato segretario al Commercio degli Stati Uniti.



Capitale e governance 
Un’architettura votata al controllo stabile: il peso combinato di Tether e Bitfinex garantisce indirizzo strategico e rapidità decisionale. A questo si aggiunge un tassello finanziario non secondario: in parallelo, Tether sta portando avanti un collocamento privato per raccogliere circa 15 miliardi di dollari entro fine anno. L’operazione, secondo le valutazioni circolate, implicherebbe una valorizzazione intorno a 500 miliardi e la cessione di circa il 3% del capitale agli investitori. Una mole di risorse che, se confermata, rafforzerebbe ulteriormente la capacità di fuoco del gruppo.

Oro, stablecoin e un mercato da spingere
Non solo cripto. Tether ha iniziato ad accumulare oro fisico con ritmo sostenuto: a fine settembre risultavano 116 tonnellate a bilancio, un livello paragonabile alle riserve di paesi come Corea del Sud, Ungheria o Grecia. Nel trimestre più recente gli acquisti del gruppo avrebbero rappresentato quasi il 2% della domanda globale del periodo e il 12% degli acquisti effettuati dalle banche centrali, contribuendo – insieme ad altri fattori – a sostenere il prezzo del metallo. A cosa mirano? Non potrà essere garanzia della nuova stablecoin USAT, che Tether punta a lanciare entro fine anno, perché il Genius Act – la cornice normativa dell’amministrazione Trump per le stablecoin – non lo consente. Più plausibile, come appunta MilanoFinanza, eppure ancora ipotetico, che l’azienda voglia favorire lo sviluppo dell’oro tokenizzato: lingotti reali, rappresentati da token negoziabili su blockchain, con minori oneri di custodia per l’investitore finale.

Il giudizio di S&P e le criticità
Mentre prende forma il listino, arriva una nota stonata. Standard & Poor’s ha declassato da 4 (capacità “limitata”) a 5 (“debole”) la capacità di USD₮ di mantenere l’ancoraggio al dollaro. La revisione riflette, scrive l’agenzia, l’aumento degli asset a rischio nelle riserve: il bitcoin peserebbe per circa il 5,6% della massa in circolazione. Se il suo valore e quello di altri asset correlati scendessero bruscamente, si aprirebbe il rischio di sottocollateralizzazione, cioè l’assenza di un dollaro reale dietro ogni token. S&P riconosce l’elevata quota di Treasury e attività liquide in dollari, ma segnala scarsa trasparenza “sull’affidabilità creditizia dei custodi, delle controparti o dei fornitori dei conti bancari” e “sulla gestione delle riserve e sulla propensione al rischio”. Aggiunge poi l’assenza di un quadro regolatorio pienamente robusto, la mancanza di segregazione degli asset a tutela degli utenti in caso di insolvenza dell’emittente e limiti nel riscatto diretto di USD₮.


La replica di Ardoino
Per Paolo Ardoino, ceo di Tether, è un caso da manuale di FUD: paura, incertezza e dubbio alimentate ad arte. In un aggiornamento pubblico ha ricordato che, alla fine del terzo trimestre 2025, Tether dichiarava circa 7 miliardi di dollari di capitale proprio in eccesso e 23 miliardi di utili non distribuiti: nel complesso, circa 215 miliardi di attivi a fronte di 184,5 miliardi di passività legate alle stablecoin. Un cuscinetto che, insieme ai rendimenti sui Treasury statunitensi – stimati in circa 500 milioni di dollari al mese – rafforzerebbe la tenuta dell’ancora. Secondo Ardoino, questi elementi non sarebbero stati ponderati adeguatamente nel giudizio di S&P.



Cosa cambia per gli investitori
Una emittente di stablecoin che diventa azionista di controllo di una società quotata specializzata nell’accumulo di bitcoin è una novità di peso per la finanza tradizionale. Per i sostenitori, l’operazione avvicina mercati e infrastrutture cripto, creando veicoli regolati per esporsi all’asset digitale più liquido. Per i critici, concentra rischi: tra esposizione al ciclo di bitcoin, domande su governance e trasparenza, e un rating che chiede maggiore prudenza sul fronte delle riserve. In mezzo, un ulteriore tassello – l’oro – che Tether potrebbe trasformare in un mercato tokenizzato di scala. Il primo test, comunque, sarà al suono della campanella del Nyse: interesse, liquidità e tenuta del prezzo diranno quanto questa scommessa parla davvero anche al pubblico generalista.

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