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Finanza & Segreti
10 Novembre 2025 - 08:30
C’è una linea sottile che separa l’invenzione dalla necessità, l’intuizione dal colpo di fortuna. Nel mondo delle criptovalute quella linea è spesso una corda tesa: ci cammini sopra con un software in tasca, un’idea in testa e una comunità che ti guarda dal basso. Un mondo fatto, oggi, di cifre miliardarie ma anche di zone d'ombra. Ed è qui, su quel filo, che si muove anche una realtà come Tether, il nuovo socio della Juventus, nonché player della finanza internazionale. Ma come è nata, davvero, Tether? Che ruolo ha avuto davvero un uomo noto come Merlin? E che fine ha fatto il terzo socio?
Ecco la storia di come, tra Cisano sul Neva e Londra, tra Torino e Hong Kong, si muovono Paolo Ardoino e Giancarlo Devasini. Oggi alla guida del colosso Tether, ieri a domare i picchi di una borsa cripto come Bitfinex, hanno trasformato scelte audaci e momenti di crisi in gradini di una scalata.
Un incontro a Londra
La scena si apre a Londra, fine 2014, ricostruisce Milano Finanza. Paolo Ardoino, appena un anno prima sbarcato nella capitale britannica per lanciare Fincluster, una startup costruita su un software sviluppato in Svizzera per la gestione dei portafogli di banche e hedge fund, ha già raccolto 350.000 euro. Bussa alla sua porta uno spilungone quarantenne, con in mano una delle prime borse cripto al mondo: Bitfinex. (di cui è ceo Jean-Louis van der Velde, che lo sarà anche di Tether fino all'arrivo di Ardoino) È Giancarlo Devasini, torinese del 1964, cresciuto a Casale Monferrato. L’intesa è immediata: dall’altra parte c’è il giovane ingegnere del software che vede dove gli altri inciampano; di qua un imprenditore che ha già varcato diverse vite (in maniera tumultuosa) e riconosce l’odore delle opportunità.
La vocazione per il codice
Per raccontare Ardoino bisogna tornare a Cisano sul Neva, nell’entroterra di Albenga. Suo padre, impiegato Enel e appassionato di computer, gli regala un elaboratore quando Paolo ha 8 anni, con l’avvertenza: «Costa due dei miei stipendi, non distruggerlo come fai di solito». È l’inizio di una familiarità col codice che diventa presto mestiere. All’università di Genova si laurea in informatica; lancia un videogioco, Worldwide, una sorta di Risiko, che ottiene un certo successo. Da ricercatore, lavora a sistemi di comunicazione per i campi di battaglia: lì comprende il valore della decentralizzazione. Ma c’è un corto circuito tra la posta in gioco e la retribuzione: 800 euro al mese su appalti da centinaia di milioni. «Le banche hanno software arretrati, tenuti insieme con spago e chewingum», osserva. È qui che decide: la finanza è la frontiera dove può far valere davvero le sue capacità.
Il terzo socio, l'anatema degli hacker
Ecco, qui serve un passo indietro. Laureato in ingegneria biologica all'università di Lione, Raphael Nicolle nel 2012 ha trovato per caso su Internet un codice sorgente per creare una piattaforma di trading, forse non comprendendo subito che ha in mano oro. Digitale, ma oro. Con quel codice sorgente crea Bitfinex, una piattaforma per il trading di criptovalute, quasi per gioco. Un gioco troppo interessante per non essere notato. Da Devasini, che gli fornisce un know how diverso: insomma, gli spiega come provare a diventare ricchi, lui che aveva iniziato nelle community vendendo cd e dvd da pagare in bitcoin (all'epoca di valore modesto).
Nel 2017, nel forum Haker News si leggera che "Nicolle ha dovuto scomparire, perché ha cercato di creare uno schema Ponzi". Un meccanismo truffaldino attraverso Bitfinex? Lo cercano su Linkedin, dove risulta lavorare per un'azienda di stampa. Oggi figura come programmatore indipendente, ben lontano dalla sua creatura e da quella venduta dopo. E non è miliardario.
Bitfinex come officina: la scalata del software
È qui che torna in scena Londra: a fine 2014 Devasini propone ad Ardoino un incarico “semplice”: integrare un software americano per rendere più efficiente il trading di Bitfinex. Part-time, perché Fincluster non deve fermarsi. Ma la marea dei volumi si alza e la toppa non basta più. Ardoino chiede un anno per riscrivere tutto; nel frattempo aggiornerà mensilmente l’esistente. Due mesi dopo l’arrivo, Bitfinex passa da 50 a 300 ordini al secondo. Dopo dodici mesi, il software nuovo è pronto e l’infrastruttura compie un salto di efficienza che proietta la piattaforma tra i protagonisti del mercato.
Il giorno più lungo: 2 agosto 2016
Ogni storia di crescita attraversa una prova del fuoco. Per Bitfinex arriva il 2 agosto 2016: un hacker sottrae 119.754 bitcoin, 72 milioni di dollari all’epoca. È il tipo di colpo che può piegare una piattaforma e disperdere una comunità. Invece Devasini elabora un meccanismo di rimborso inedito: nasce il token Bfx. Tre strade per i clienti colpiti: venderlo subito sul mercato e incassare dollari; attendere un rimborso di 1 dollaro per token finanziato dai profitti della piattaforma; oppure convertirlo in equity. C'è già l'equivalenza fra elemento digitale e valuta reale. Siamo alla prima stablecoin che diverrà il business di Tether.
Finanza d'emergenzaX
All’inizio prevale la paura: piovono vendite e il Bfx scivola da 1 dollaro a 20 centesimi. Ma la storia prende una piega inattesa. Nell’ottobre 2016 il bitcoin imbocca un rally vertiginoso che durerà poco più di un anno. Gli investitori tornano; la liquidità rifluisce; i volumi fanno il resto. Arriva il primo milione di profitti: Bitfinex effettua il primo buyback e i token in circolazione calano da 72 a 71 milioni. Il mese dopo gli utili toccano 4 milioni, i Bfx scendono a 67 milioni e il prezzo risale.
Parallelamente, molti iniziano a convertire i token in equity. «Alla fine viene rimborsato tutto», dice Ardoino. Il paradosso della fiducia: l’asset più vulnerabile, in quel frangente, si rivela il cemento che tiene insieme piattaforma e comunità.
Ascesa, potere e domande aperte
Da quel “miracolo” in poi la parabola accelera. Nel giro di un mese Bitfinex torna la prima borsa cripto per volumi; per Ardoino si apre “un’altra incredibile storia”. È qui che l’arco narrativo incrocia il “colosso delle criptovalute” Tether, di cui oggi Ardoino è CEO e Devasini presidente. Tether che all'inizio era solo un progetto parallelo, senza una sede fisica. Nel frattempo, sul web, Merlin-Devasini ormai inghiottito dal misterioso riserbo risulta vivere un po' alle Isole Vergini Britanniche, un po' in Svizzera con la compagna, molto nello stato africano di Sao Tome and Principe.
C'è chi dice che si nasconda. A Lugano, c'è chi ha raccontato di averlo visto andare in giro sempre con una vecchia felpa e il cappuccio tirato sulla testa. Dietro di lui ci sono alcune disavventure imprenditoriali, come quella che l'ha costretto a pagare 100 milioni di lire a Microsoft per aver venduto computer con software piratati. O come quella di un’altra azienda di Devasini, la Alcosto, fallita nel 2006 che aveva acquistato 1575 chip di memoria da un’azienda britannica. Poi, nel 2016, la commissione tributaria britannica, che giudicava di in un caso che non coinvolgeva Devasini, ha rilevato che quella transazione era parte di uno schema “legato a perdite fiscali fraudolente” definito “frode carosello”.
Boom e ombre di Tether
Oggi Tether è un fenomeno in piena espansione con numeri di bilancio impressionanti e, con l'apertura a nuovi investitori, potrebbe raggiungere la quotazione record i 500 miliardi, trasformando Devasini - già oggi tra gli uomini più ricchi d'Italia - nel secondo miliardario al mondo, alle spalle solo di Elon Musk.
Ma molti analisti, e non solo, tacciano Tether di avere troppe zone d'ombra. Secondo il Financial Times, la procura di New York ha scoperto per diversi mesi nel 2017 Tether non ha avuto accesso ai servizi bancari e a un certo punto più dell’85% della sua liquidità era conservata in un conto bancario di Bitfinex, contabilizzato come “credito” dalla società collegata. Poi Tether ha prestato a Bitfinex 625 milioni di dollari dopo quest’ultima aveva perso 850 milioni di dollari depositati presso la defunta società di pagamenti panamense Crypto Capital Corp. La criptoborsa è sopravvissuta, grazie a quel denaro, ma secondo i magistrati i conti di Tether sarebbero stati così alterati. Successivamente è arrivato un patteggiamento con una multa da 18,5 milioni di dollari.
Oggi le sue riserve per garantire il rapporto 1:1 con il dollaro sono costituite da contanti e "azioni di investimento a sostegno", con una gran quantità di titoli di Stato, legati al debito pubblico americano. Poi, investimenti tradizionali in società reali dal biotech al fondo Black Rock, ad aziende agricole bio in Sud America, oltre a società di mining e codici (e anche Bitcoin). E accordi di diffusione nei Paesi in via di sviluppo. E in Italia, la Juve e la media company Chora Media.
Non ci sono bilanci. I report a firma di Devasini che la società - che non ha operatività finanziaria in Europa - presenta non sono certificati da società "top", ma da Bdo Italia, un audit indipendente. Cosa che secondo Ardoino è prassi comune a molte aziende.
Quanto vale realmente Tether?
C'è una domanda inquietante cui dà una risposta sempre MilanoFinanza: quanto vale realmente Tether? Bisogna intanto analizzare come funziona il meccanismo: i compratori dei token Usdt versano dollari reali, come un deposito in banca. Un deposito che a fine settembre 2025 valeva 181 miliardi di dollari Usa. Nel 2024 hanno prodotto utili per 12 miliardi. Soldi che "restano nelle mani dei due" Deasini e Ardoini. Nei primi nove mesi del 2025 il dividendo è stato di 10,3 miliardi.
Tether, inoltre, dovrebbe essere sempre in grado di restituire il denaro reale ai detentori di token, ma al momento le sue riserve fisiche sono in realtà inferiori al numero di USDT in circolazione: 174 miliardi contro 181 miliardi di depositi. La differenza sarebbe il reale valore effettivo di Tether. Mentre Ardoino e Devasini scalano le classifiche dei miliardari con, rispettivamente, 10 e 22 miliardi di euro di patrimonio personale.
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