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Gli Affari degli Agnelli/Elkann
18 Novembre 2025 - 11:50
"Un polmone con bacilli" avrebbe detto Gordon Gekko, invece anche lo squalo di Wall Street più celebre di Hollywood avrebbe sbagliato di fronte alla vicenda della Carvana, piattaforma online di vendita di auto usate, a Tempe Arizona. Nel 2022 era ben più che un polmone con bacilli: era sull’orlo del fallimento con un debito fuori controllo, perdite, azioni in caduta del 99%. Oggi, tre anni dopo, vale 69 miliardi di dollari a Wall Street. Come ci è arrivata? E chi ha saputo leggere prima degli altri i segnali nel frastuono della “mania” da social? La risposta porta il nome di Ernie Garcia, l’amministratore che ha guidato una ristrutturazione radicale, e quello di Lingotto, il fondo di Exor, la holding degli Agnelli-Elkann, capace di trasformare un’operazione a elevato rischio in una plusvalenza da manuale. E l'ironia della sorte è che adesso quella società legata all'auto vale quasi tre volte Stellantis... Ma la parabola di Borsa consente di accendere i riflettori su una holding un po' defilata dell'impero di John Elkann, ossia Lingotto.
Il paradosso è negli squilibri che questa ascesa mette in luce. Oggi Carvana vale oltre il doppio di Stellantis (che al momento capitalizza 25 miliardi), ma nel 2024 ha incassato un decimo dei ricavi del gruppo automobilistico e messo a segno “solo” 440 milioni di utile. Una crescita di valore che corre ben più veloce dei fondamentali: è un miraggio nel deserto o la punta di un’onda lunga? La domanda è tutt’altro che oziosa, perché racconta il nuovo alfabeto dei mercati, in cui la narrazione può contare quanto i numeri, e talvolta di più.
Tra piccoli trader e grandi squali: chi ha vinto davvero
La riscossa di Carvana ha ricompensato molti piccoli investitori che avevano scommesso nel momento di massima incertezza, sospinti dall’euforia dei social. Ma la corsa ha pagato – e molto – anche alcuni squali della finanza. Tra questi, Lingotto, il veicolo di investimento di Exor, primo azionista proprio di Stellantis. A inizio 2023 il fondo è entrato nel capitale di Carvana acquistando 5 milioni di azioni, per circa 50 milioni di dollari di allora. Una scelta controcorrente, in piena tempesta.
Oggi Lingotto Sgr - che, a dispetto del nome legato alla storica ex fabbrica Fiat a Torino, ha sede a Londra -, fondata nel 2023, detiene ancora poco più di 3 milioni di titoli, dal valore vicino a 1,2 miliardi di dollari. Anche a fronte di un parziale disimpegno, il delta resta impressionante: è la partecipazione economicamente più rilevante dell’intero portafoglio.
Il portafoglio Lingotto: tra auto, tecnologia e la nuova Hollywood
Se Carvana è la punta economica, la geografia del portafoglio Lingotto è ampia. Subito dietro spicca la quota da 890 milioni nella casa cinematografica Paramount, appena passata sotto il controllo della famiglia Ellison e già pronta ad acquisire anche Warner Bros-Discovery. Un piazzamento che intercetta la riconfigurazione dell’industria dei media, tra consolidamenti e nuove scale competitive.
Secondo l’aggiornamento più recente, che fotografa la situazione al 30 settembre, il fondo detiene quote in 36 società quotate a Wall Street per un valore complessivo di oltre 5,4 miliardi di dollari. Nell’elenco compaiono nomi come Amazon, Microsoft, Uber e Tsmc, a cui si affiancano aziende farmaceutiche come Teva e Moderna. Colpisce anche la presenza di Tesla, concorrente diretta di Stellantis.
Una scelta che racconta la natura di Lingotto: non un braccio identitario, ma un investitore orientato al rendimento, pronto a mettere capitale dove vede opportunità, anche quando queste si trovano accanto – o di fronte – agli interessi industriali della “casa”. E, a quanto si dice a Torino, Lingotto rappresenterebbe il veicolo d'investimento "privato" di John Elkann, quello cui dedica le sue strategie.
Presidente non esecutivo è George Osborne ex Cancelliere dello Scacchiere inglese, mentre il ceo è Enrico Vellano, ex cfo di Exor. Guido De Boer, attuale cfo di Exor, è direttore non esecutivo. Seguono poi i ceo e direttori generali delle quattro divisioni di Lingotto: Intersection, più da pubblic equity; Horizon, che diversifica gli investimenti in fondi di fondi; Innovation, basata sul lungo termine; Mosaic, prevalentemente orientata sul Nord America.
L’oro come bussola: la scommessa condivisa con Tether
Il settore a cui Lingotto risulta più esposto è però quello minerario. Il fondo ha acquistato partecipazioni rilevanti in aziende attive nell’estrazione di oro e argento, beneficiarie negli ultimi 12 mesi di performance straordinarie in Borsa, spinte dal boom del metallo giallo. È una scelta che ha il sapore dell’assicurazione: quando i mercati ballano, l’oro torna spesso a fare da ancora.
Non a caso questa “passione” è condivisa con una realtà tutt’altro che allineata agli interessi di Exor: Tether - società rivale in tutt’altro campo, ma socia nell'azionariato della Juventus - che parimenti guarda al metallo prezioso come a un pilastro difensivo. Qui non c’è solo tattica. C’è anche un ragionamento strategico sulla diversificazione: se la tecnologia incarna la crescita, l’oro tutela il portafoglio dagli scossoni. Una sorta di baricentro emotivo e finanziario, utile quando la narrativa di mercato cambia registro nel giro di poche settimane. Perché a Wall Street, come in mare aperto, non basta avere una rotta: bisogna anche leggere i venti. E in questa visione di Elkann sembra di cogliere ormai la vera vocazione, in una narrazione ancora incompleta dove la vecchia industria, rappresentata dalle auto di Stellantis, non appare più la stella polare.
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