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Quando abbiamo perso l'auto
13 Ottobre 2025 - 05:50
In latino “Ex” indica “via da”. E via da (Torino, nello specifico) sembra essere se non il significato la mission aziendale, almeno, della Exor degli Agnelli/Elkann. Che in una quindicina di anni ha messo in cassaforte una quarantina di miliardi di euro, facendo però spezzatino di un impero fatto, oltre che della Fiat, di industrie fiorenti (del valore di 17 miliardi, da sole). E se vogliamo pensare che, solo perché si liberano dei giornali in rosso, gli Elkann stiano disimpegnandosi da Torino, meglio ricordare che quella fuga è cominciata molto tempo fa.
Il "regalo" TNE della politica torinese
Comincia forse nel «momento in cui ci siamo giocati l’auto», come dice il collega giornalista Francesco Bonazzi nel libro “Alto tradimento”. Siamo nel 2005: Fiat - che con la morte di Gianni Agnelli è in realtà rinata, passando dal quasi fallimento ai successi del metodo Marchionne - vuole liberarsi di mezza Mirafiori, l’area delle gommature in particolare. La Trimurti Dem sabauda - il sindaco Sergio Chiamparino, il presidente della Provincia Antonio Saitta, la Zarina Mercedes Bresso, offrono 68 milioni per rilevarle e darle a una società mista, TNE, che tenterà un grande rilancio industriale. In cambio, Marchionne dovrà portare una nuova linea produttiva a Mirafiori.
Fiat sforna la Grande Punto e rimette a lavorare i cassaintegrati. Un anno dopo, però, il successo è tale che la linea trasloca a Melfi, Fiat scopre che vende di più la vecchia Punto, la GP finisce la sua carriera in India. TNE, invece, cittadella del Poli a parte, è un flop sanguinoso e vuoto, salvata due volte dal fallimento e per cui, solo adesso, qualcosa si muove. Un gentile regalo di Torino agli Agnelli. E oggi ci sarebbe anche l’idea di riprovarci, perché a Mirafiori c’è qualcosa come mezzo milione di metri quadrati di fabbrica inutilizzati: «Noi abbiamo offerto disponibilità, ma a Stellantis non interessa» aveva detto poco tempo fa il sindaco Stefano Lo Russo. Viene quasi da augurarsi che non cambi idea...
Il caso Iveco e la Magneti Marelli
L’impero Fiat a Torino e dintorni si rimpicciolisce da tempo: l’ultimo caso è quello di Iveco, fatta a spezzatino fra Leonardo per la Defence e gli indiani di Tata Group per camion e bus. Valore dell’operazione in essere, 5,5 miliardi di euro almeno.
Ma tutto era cominciato dalla Magneti Marelli, che a Venaria conta qualcosa come 1.600 lavoratori. La Magneti è un colosso, non sembra in sofferenza: Exor decide che si può monetizzare l’asset, come si dice in gergo, per finanziare le proprie acquisizioni nei campi tech, sanità e lusso con Philips e Louboutin. Nel 2018 per 6,2 miliardi di euro passa ai giapponesi di Calsonic Kersel. Ed è un disastro. I giapponesi la passano al fondo KKR, ma adesso siamo alla procedura di fallimento e per i 1.600 di Venaria c’è solo tanta paura.
Comau agli americani
Non soffriva per niente, anzi era addirittura in ottima salute, la Comau della robotica, a Grugliasco: l’anno scorso Stellantis ne ha ceduto la proprietà (valore circa 1 miliardo) al fondo americano One Equity Partner, riservandosi la posizione di azionista di minoranza, e lasciando un cugino degli Elkann - Alessandro Nasi, più noto per il matrimonio con Alena Seredova - alla guida.
Il deserto di Grugliasco
Grugliasco, d’altra parte, è il territorio più spogliato da Stellantis/Exor. Basti pensare alla ex Maserati: il Polo del Lusso che Marchionne - spinto da Chiamparino, sempre lui, fra una partita a scopone scientifico e una pizza da Cristina a Barriera Milano - inventò sulle ceneri dell’ex Bertone. Una storia di auto e stile che durava dal 1959 e che Carlos Tavares spazzò via in meno di 59 minuti di sua prima visita nel torinese come ceo di Stellantis. Stabilimento abbandonato e messo in vendita su Internet.
Usciamo ancora un poco e, evitando di ricordare il grande tunnel sospeso della Fiat Rivalta - la seconda Mirafiori, da cui uscivano Ritmo, Regata, anche Punto -, basta il caso Mopar, ossia il mancato polo della logistica, con la palazzina ristrutturata e poi lasciata vuota (e messa in vendita).
Addio al Lingotto
All’epoca Marchionne, il manager italocanadese aveva l’ufficio al Lingotto, sotto la Bolla, anche se lavorava più in volo (e infestando con le sigarette a tal punto la cabina da dover far cambiare periodicamente i rivestimenti del jet “di servizio”) verso l’America dove aveva salvato Chrysler e creato Fca. John Elkann aveva anche lui un ufficio lì, con alcuni cimeli del nonno Gianni. Ora, lì è stato tutto venduto a Reply, al Lingotto non restano neppure gli uffici, che pure c’erano solo fino a qualche tempo fa, della stessa Exor. Secondo alcune voci, ora la Famiglia starebbe pensando di vendere anche l’Auditorium, per un paio di milioni di euro.
Molto più conveniente di Villa Frescot, la dimora dell’Avvocato, per cui pare che ne chiedano una decina: però quella ormai è di Margherita Agnelli, così come Villar Perosa e non c’entra niente. Aggiungiamo ancora per inventario, le cliniche Lifenet, investimento che Exor ora vuole monetizzare.
Il volo di Exor e i soldi dallo Stato
Fatto sta che, in poco più di quindici anni, da quando è salito alla guida di Exor, John Elkann è diventato a livello personale più ricco di quanto fosse suo nonno - al netto dei fondi neri dell’Avvocato - ed Exor è passata da una capitalizzazione di 8 miliardi di euro agli attuali 42 miliardi circa di GAV ossia il valore totale degli attivi.
E Fiat? «Torino è la casa della Fiat» si ripete. Più piccola, forse. Con Mirafiori che pure è sede di Stellantis Enlarged ma la produzione è affidata alla 500, elettrica e ibrida. Momenti di svolta, la creazione del reparto trasmissioni eDct e l’hub Sustainera dell’economia circolare, come se a riciclare auto si guadagnasse più che a farle.
In mezzo, ci mettiamo quasi 900 milioni di euro di cassa integrazione pagata dallo Stato, una garanzia pubblica a un prestito da 6,5 miliardi (rimborsato) e quattro miliardi di contributi pubblici dal 1990 al 2019.
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