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14 Dicembre 2025 - 06:46
Influenza, picco di contagi in Piemonte: già contagiate oltre 330mila persone. E all'estero torna la mascherina obbligatoria
Genitori e insegnanti se ne sono già accorti da soli, avendo a che fare con bambini a letto con la febbre alta e aule improvvisamente svuotate dall’epidemia. Ora però sono arrivati anche i dati ufficiali: a Torino e in Piemonte l’influenza sta mettendo ko migliaia di persone e il virus sta colpendo duro in particolare tra i bambini.
I numeri arrivano dal Seremi, il Servizio di riferimento Regionale di Epidemiologia per la sorveglianza, la prevenzione e il controllo delle malattie infettive, e sono aggiornati alla scorsa settimana, quella dall’1 al 7 dicembre. Giorni in cui «l’incidenza delle infezioni respiratorie acute rilevata a livello regionale è risultata pari a 14,6 casi ogni 1.000 assistiti, in netta crescita rispetto alla settimana precedente». A fine novembre infatti, l’incidenza era pari a 10,9 casi ogni 1.000 assistiti e quindi, calcolatrice alla mano, c’è stato un aumento superiore al 33% in pochi giorni. In numeri assoluti, si stima che da metà di ottobre i piemontesi che sono già stati colpiti da infezione respiratoria acuta siano stati circa 336mila, di cui circa 62mila solo nella prima settimana di dicembre.
E che si tratti di un primo picco “premonitore” di numeri in arrivo ancora più elevati, lo dimostra anche un confronto con lo scorso anno. Nell’inverno 2024-2025, infatti, il punto più elevato lo si registrò decisamente più avanti, a fine gennaio, con numeri molto simili a quelli che adesso già vediamo a inizio dicembre, mentre nella stessa settimana l’incidenza era di 9,4 casi ogni mille assistiti, circa il 55% più bassa dell’attuale. Una differenza resa ancora più evidente dai numeri assoluti: lo scorso anno i piemontesi influenzati a questo punto dell’anno erano stati circa 260mila (76 mila meno di adesso).
Siamo quindi di fronte a una elevata circolazione del virus (quello più diffuso è il sottotipo A/H3N2) che rende la situazione di questo inverno più simile a quella di due anni fa, quando il picco fu registrato tra Natale e Capodanno e la curva a gennaio cominciò a scendere. A preoccupare ulteriormente per quello che potrebbe attenderci nelle prossime settimane, però è anche l’intensità delle sindromi influenzali, che si manifesta in particolare con le temperature della febbre. Questa settimana infatti il Seremi segnala che è il livello «è passato da “basso” e “medio”» che era anche stato il livello massimo raggiunto sia lo scorso inverno che due anni fa. Il problema è che adesso la curva punta ancora decisamente all’insù e il livello “alto” non è troppo lontano. Un livello che in realtà è già stato raggiunto se si prende in esame l’età dei malati. Nella fascia tra i 5 e i 14 anni infatti «è stato raggiunto il livello di intensità “alta”»: le segnalazioni di bambini con febbre elevata (anche superiore ai 40-41 gradi) non mancano, così come di genitori che, preoccupati, hanno portato i propri figli al pronto soccorso. Preoccupazioni comprensibili, anche se la popolazione più a rischio in realtà resta sempre quella più anziana: sopra i 65 anni di età in questo momento l’intensità segnalata è “media” ma ovviamente restano loro quelli che più devono fare attenzione, in particolare se non sono vaccinati. Stessa intensità “media”, segnala il Seremi, anche per i i neonati e fino ai 4 anni di età mentre nell’ampia fascia tra i 15 e i 65 anni il livello resta fermo a un più rassicurante “bassa”.
La velocità di diffusione e l’intensità fanno comunque scattare i primi campanelli d’allarme non solo da noi. I dati sembrano infatti simili a quelli provenienti dall’Australia - spesso considerata un indicatore anticipato per l’emisfero nord - dove la stagione invernale e il virus sono arrivati prima che da noi. Nella terra dei canguri infatti si era registrato un incremento dei casi, rispetto allo scorso anno, del 58,6% a cui aveva fatto seguito un preoccupante aumento dei ricoveri: fino al +50% nelle fasi più avanzate della stagione. In Europa, l’epidemia sta già colpendo duro soprattutto in Gran Bretagna, dove l’aumento dei ricoveri ha spinto il ministro della Salute britannico Wes Streeting a parlare della «sfida più difficile affrontata dal sistema sanitario pubblico dalla pandemia di Covid del 2020». E sul continente le cose non sembrano destinate ad andare molto meglio, tanto che da mercoledì a Barcellona e in tutta la Catalogna la mascherina è tornata ad essere obbligatoria in ospedali, centri di salute e case di cura.
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