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LA DENUNCIA
24 Maggio 2023 - 18:37
Il recente crollo delle controsoffittature alle Molinette
Un ospedale su quattro in Piemonte ha più di un secolo. Quello che in altri Paesi potrebbe essere considerato un «rudere», spesso, rappresenta l’ultimo approdo della nostra sanità pubblica. Solo il penultimo campanello d’allarme che suona il Comitato per il diritto alla tutela della salute e delle cure che, sabato, scenderà in piazza con una grande manifestazione «per denunciare la politica sanitaria attuata negli ultimi anni dalla Regione». Dal «taglio dei posti letto», al «blocco del “turnover” dei sanitari», passando per la «mancanza di una politica dei servizi territoriali adeguata, incapacità di risolvere il problema delle lunghissime liste d’attesa».
E per capire quale sia la vetustà delle nostre strutture sanitarie si può partire da Torino, con il Maria Vittoria costruito nel 1885, oppure, con il Mauriziano che ha la stessa “età” o le Molinette, edificate nel 1925 e poi il Sant’Anna del 1938. Mezzo secolo in meno ce l’hanno il San Giovanni Bosco del 1961, il Martini che è stato inaugurato nel 1970 o, ancora il Cto del 1965, il San Luigi di Orbassano del 1970 e l’Ospedale di Rivoli del 1975. Sempre in provincia, però, dominano Pinerolo, aperto nel 1938, Ivrea nel 1956, Chivasso nel 1970. A battere ogni “record” però sono Moncalieri del 1910 e Chieri, la cui apertura risale addirittura al 1553. «Su 166 strutture sanitarie in Piemonte, più della metà (51,7%) sono state costruite prima del 1960».
Da questi dati si evince che nel Torinese «non viene costruito un ospedale da più di mezzo secolo. Ed è del tutto paradossale che l’unico progetto in cantiere per la costruzione di un nuovo ospedale a Torino, il Parco della Salute, venga realizzato con larga parte da capitali privati. La Corte dei Conti, lo scorso maggio, ha realizzato una indagine sugli investimenti edilizi in sanità pubblica e, nello specifico, le risorse stanziate del governo in piena pandemia Covid a cui si aggiungono quelle del Pnrr». Spesso, sottolinea il Comitato, «le Asl hanno usato queste risorse come “spesa corrente”, che serve per dare servizi ai cittadini, riducendoli ulteriormente». Ameno 211 milioni di euro, poi, sarebbero rimasti “congelati” in cassa «per progetti mai avviati».
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