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IL REPORTAGE

Rapimenti, schiavitù e vita di strada per chi ha sognato un futuro in Italia

Le storie di Taha, Zayed, Mahmood e Ichab accolti nel centro “Primo passo” a Borgo San Paolo

C’è chi, all’arrivo in Italia, sognava di diventare un grande parrucchiere, mettendo a frutto le prime esperienze da “garzone di bottega” in un vero e proprio salone. Ma poi Taha, poco più che adolescente, si è trovato a vivere per strada due mesi, prima che gli si aprissero le porte di un centro di prima accoglienza. Chi, come Zayed, voleva letteralmente fuggire dalla miseria e inseguire le proprie chimere in Europa. Ma nemmeno quindicenne è finito schiavo dei trafficanti di uomini in Libia. Scoprendo anche la ferocia del rapimento, quando alla sua famiglia è stato chiesto un riscatto per quel figliolo scappato di casa. Diecimila euro per imbarcarlo su una carretta del mare e spedirlo a Lampedusa, nella migliore delle ipotesi. Tanto hanno dovuto pagare mamma e papà per salvarlo dal destino peggiore. E, poi, Mahmood e Ichan, arrivati a Torino rispettivamente dall’Egitto e dal Marocco attraverso la “rotta” dei Balcani. Forse, persino più pericolosa. «Voglio diventare uno chef» rivela il 16enne che ha lasciato Marrakech, confessando di avere avuto più volte paura in quei lunghi mesi di solitudine. Laddove non bastano i numeri a raccontare l’emergenza dei minori stranieri non accompagnati, servono le storie.

Quelle di giovani che nessuno sembra volere accogliere a parte le strutture d’emergenza attivate con l’ausilio del Comune di Torino. Come “Primo passo” in Borgo San Paolo, gestito dalla Onlus presieduta da Paola Finzi. «Siamo nati otto mesi fa e oggi ospitiamo 24 ragazzi tra 15 e 17 che provengono da diverse zone del mondo come Egitto, Senegal, Marocco, Tunisia, Pakistan». Le maggiori problematiche sono rappresentate dai problemi psichiatrici e sociali ma anche da un fatto: la maggior parte di loro, anziché essere ospitata per tre settimane in attesa di approdare in un Centro di accoglienza straordinaria della Prefettura o presso una comunità, se non una vera e propria famiglia, resta “parcheggiato” in attesa di un futuro dentro tutt’altro genere di strutture, dove se non fosse per lo zelo e la preparazione di educatori e mediatori culturali, per la maggior parte ci sarebbe solo la strada. Ed ecco come nascono quei “fantasmi” che, a conti fatti, il sistema produce: se per l’accoglienza degli adulti si aprono bandi di gara milionari, quelli per i minori vanno deserti. Tre, in particolare, gli ultimi prodotti dalla Prefettura di Torino che, ora, cercherà di supportare il Comune in quella che anche l’assessore al Welfare, Jacopo Rosatelli, non nega rappresentare una «emergenza».

In questi vecchi edifici pubblici che portano il nome di un altro giovane a cui è stata negato un futuro, Emanuele Jurilli, per Taha, Zayeb, Mahmood e Ichan, almeno, brilla una speranza. In cui loro non hanno mai smesso di credere. Francesca Galeazzi e Damia Asadi, educatrici e mediatrici al “Primo Passo”, mostrano con orgoglio i quaderni su cui stanno imparando l’italiano. Le stanze in cui dormono portano i nomi dei pianeti «per infondergli coraggio e ricordargli l’universo gli appartiene, se vogliono». E loro stessi provano a raccontarlo, sforzando quel poco di italiano che studiano con tanta dedizione. «Volevo venire in Italia a tutti i costi» racconta Taha, che ha un sogno. «Tagliare i capelli» svela con gli occhi umidi, sotto un folto cespuglio di riccioli neri.

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