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L'INTERVISTA

Occhetto e quello scontro all'americana con Berlusconi: «Era un apprendista stregone»

L’ultimo segretario del Partito Comunista Italiano ricorda l’elezione del 1994 e il suo avversario

Una carezza lontana dalle telecamere. Un gesto da amici, quasi fraterno, per quello che è stato il nemico politico che più di tutti gli fu fatale. Così Achille Occhetto, l’ultimo segretario del Partito Comunista Italiano, ricorda Silvio Berlusconi e l’elezione del 1994 che per il fondatore di Forza Italia significò l’inizio dell’ascesa politica. 

Occhetto, come ha reagito alla notizia della morte di Berlusconi?
«Mi ha molto commosso. Berlusconi è stato gran parte della vita politica italiana e, possiamo dire, anche della mia vita politica personale. Accanto alla commozione però rimane il mio giudizio sulla persona».
Un giudizio negativo?
«Estremamente severo. Berlusconi è stato un “innovatore della conservazione”. Ha innovato il campo conservatore della politica, non certo l’Italia. A mio parere non ha traghettato l’Italia dalla prima alla seconda Repubblica, come spesso si dice in modo privo di una valutazione attenta dei fatti. Semmai è stato traghettatore dalla Repubblica dei partiti al primo esperimento europeo di populismo, di cui è stato il fondatore».
Facciamo un salto indietro nel tempo. È il 1994. Lei è largamente favorito alle elezioni. Berlusconi con la coalizione del Popolo della Libertà e del Buon Governo è il nuovo che avanza. Cosa ricorda?
«Mi ricordo il famoso braccio di ferro televisivo. Io mi comportai con grande rispetto nei suoi confronti. Durante una pausa per la pubblicità lo vidi molto nervoso mentre guardava i suoi appunti, gli toccai il braccio e gli dissi di stare tranquillo, che andava bene. Lui invece lanciò due sassi estremamente violenti. Due prime sperimentazioni populiste, potremmo dire».
A cosa si riferisce?
«Diceva che se avessimo vinto noi ci sarebbe stato il pericolo del ritorno del comunismo. Un anno dopo il crollo del comunismo a livello mondiale, paventava l’idea che i cosacchi potessero abbeverarsi a Roma e gli italiani gli hanno creduto. Poi ha promesso un milione di posti di lavoro che poi non si sono mai visti».


Di quel primo faccia a faccia "all’americana" tra lei e Berlusconi si parlò moltissimo anche negli anni successivi. Venne analizzato ogni dettaglio, del suo completo marrone al linguaggio del corpo del suo avversario. C’è qualcosa che cambierebbe?
«Non imiterei il linguaggio del corpo di Berlusconi. Ognuno ha il suo. Tengo molto invece al linguaggio del mio cervello, che ritengo essere molto superiore rispetto a quello di Berlusconi. Insomma, non cambierei assolutamente niente».
Parlando invece del suo partito. Dopo la tornata elettorale del ’94 cambiò tutto. O forse sarebbe meglio dire: crollo tutto?
«Non crollò niente. Noi eravamo in piedi. Il Pds guadagnò il 4% dei voti. Data l’affluenza di allora, significava milioni e milioni di voti in più».
Come spiega allora una sconfitta tanto sonora?
«Perché i progressisti non avevano l’alleanza che rendevano possibile la vittoria. Io prima delle elezioni avevo fatto un accordo per fare insieme un governo e chiamare a fare il presidente Ciampi. Non potemmo farlo perché i popolari persero anche le mutande e il Partito socialista si risolse al 2%. Il Pds era saldamente in piedi».
E lei, era ancora in piedi all’interno del Partito?
«All’interno del Partito si creò un clima favorito dalla propaganda esterna che parlava del nostro disastro. Io capii che non avrei potuto portare avanti le innovazioni che avevo iniziato con la Svolta e diedi le dimissioni. Successivamente non venne fatta una analisi attenta del Berlusconismo. Si parlò solo dei problemi di comunicazione e apparenza e non si pose la questione fondamentale del conflitto di interessi. Si aprì così la strada degli inciuci. È mancata la comprensione del soggetto politico che avevamo davanti. Era un nuovo populista disposto a tutto».
C'è un aspetto del suo avversario che apprezzava?
«Era un uomo capace di forme di simpatia. Era un paternalista buono di base, ma profondamente cattivo quando si trattava di difendere i propri interessi. Ne ho apprezzato poi gli elementi di novità nel campo conservatore, ma sono diventati sempre più negativi per la politica italiana».
Proprio in virtù della sua lunga esperienza nella politica italiana, lei pensa che Forza Italia potrà sopravvivere al suo fondatore?
«Berlusconi è stato come un apprendista stregone. È stato lui a mettere i primi germi della destra nel centro. Abbandonando l’ipotesi liberale con la quale aveva chiesto i voti. E come apprendista stregone ha lasciato in eredità soltanto Giorgia Meloni».
Sarà lei il nuovo fulcro del centrodestra?
«Sarà problematico. La mancanza di Berlusconi lascerà ferite e problemi che non siamo ancora in grado di capire in quale direzione si muoveranno. Vedremo anche il desiderio di Renzi di sostituirlo».

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