Da sempre il padre generale dei Gesuiti viene appellato come “papa nero”. Ma quando il Papa è un gesuita, come nel caso di Francesco, i panni dell’antagonista per eccellenza, rovesciando ogni canone della tradizione, li veste un prelato che di gesuitico sembra non avere proprio nulla. E’ il caso di padre Georg Gänswein, vescovo, prefetto (dimezzato) della Casa Pontificia, fedele segretario personale di papa Ratzinger. Le polemiche e le contrapposizioni tra l’Harrison Ford in abito talare e l’attuale pontefice sono note e recenti, ma dietro di esse ci celano movimenti tellurici nel mondo cattolico che potrebbero condurre se non ad uno scisma, senz’altro a una durissima contrapposizione tra “tifoserie”, ben prima del prossimo conclave. Dopo il faccia a faccia tra Francesco e il vescovo tedesco, quest’ultimo ha scelto il silenzio, ma ciò non significa che le truppe cammellate, dell’uno e dell’altro non stiano scaldando i muscoli. Il silenzio (richiesto dal Papa) di padre Georg e la prudenza di questi giorni sembrano essere necessari al segretario di Ratzinger per non pregiudicare la sua nomina a cardinale nel prossimo concistoro (così come fu per Stanislaw Dziwisz, ombra discreta di Giovanni Paolo II). Tuttavia, se la berretta color porpora non dovesse arrivare, allora in seno alla Chiesa si scatenerebbe una “guerra” senza precedenti (almeno in secoli recenti). D’altra parte è stato lo stesso vescovo tedesco a definirsi, nel libro appena pubblicato, «un falco». Le truppe del più fedele servitore di Benedetto XVI sembrano essere numerose: tra i sacerdoti diocesani, in alcune organizzazioni cattoliche, negli ordini religiosi. Minoritarie, però, nel collegio cardinalizio dove spicca il nome del porporato di Romano Canavese Tarcisio Bertone, già Segretario di Stato durante il pontificato di Ratzinger. Il lavoro discreto di Bertone, però, non sembra quello dell’incendiario, piuttosto del pompiere. Lui parla ed è ascoltato sia da Francesco, sia dai “falchi” di padre Georg. Cosa completamente diversa tra i preti delle diocesi di Torino e Ivrea, dove i conservatori e i tradizionalisti sarebbero sempre più numerosi, specie tra le nuove leve. Spicca su tutti il nome di don Salvatore Vitiello, laureato in Teologia presso la Pontificia Università Lateranense e specializzato in Cristologia. Alla Sapienza di Roma si è anche laureato in Storia, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia. Don Vitiello ha poi lavorato per sette anni, sotto il pontificato di Papa Benedetto XVI, presso la Congregazione per il Clero, in Vaticano e attualmente presta servizio pastorale presso la diocesi torinese. Poi ci sarebbe, secondo i bene informati, don Luciano Tiso, parroco di Sant’Antonio Abate, un prete molto attivo nella pastorale con i giovani e capace di attrarre vocazioni religiose. Un altro punto di riferimento nella chiesa torinese è don Damiano Cavallaro, un predicatore molto abile. Sue le omelie pronunciate a San Vito. Ha detto di lui Luciano Castaldi, citando Benedetto XVI: «Il vero miracolo della Chiesa Cattolica è quello di riuscire a sopravvivere, ogni domenica e da duemila anni, a milioni di pessime omelie, non quelle di don Damiano». Ma i preti che si vedono sempre più spesso in abito talare e che non avrebbero dubbio alcuno a sostenere padre Georg, sono ancora più numerosi. Specie tra i nuovi ordinati, sia nella diocesi subalpina che in quella di Ivrea, dove reggono numerose parrocchie e qualcuno è anche solito celebrare, una volta la settimana (accade in una chiesa del basso Canavese), la messa in latino secondo il rito di San Pio V. Poi ci sono i gruppi, le associazioni di fedeli, gli istituti secolari, anch’essi flagellati dalla ventilata diaspora tra progressisti e conservatori, ma questo è un altro capitolo.
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