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«Quando Fatima era a terra in fin di vita lui è andato al bar a comprarsi la birra»

caso fatima
«Ho chiamato subito il 112 perché ho avuto l’impressione che ci fosse qualcosa che non andava in quella caduta. Lui sembrava disinteressarsi alla bambina. Mentre la piccola era a terra in fin di vita, è andato al bar lì davanti a comprarsi da bere». Così un vicino di casa ha ricordato ieri Mohssine Azhar, 33 anni, il presunto assassino della piccola Fatima, morta a tre anni, il 14 gennaio di un anno fa, dopo essere stata, secondo l’accusa, «lanciata dal balcone». Ieri è iniziato il processo a carico del marocchino, che ha precedenti per droga e che ha chiesto la parola non appena è iniziata l’udienza: «Chiedo scusa alla mamma della buonanima di Fatima. Questa ferita non si è mai chiusa. Questo dolore è peggio di una condanna e mi accompagnerà tutta la vita. Io amavo quella bambina. La prima volta che la ho abbracciata l’ho sentita come mia figlia». Parole a cui sono seguite quelle dei testimoni dell’indagine, citati dalla pm Valentina Sellaroli, che accusa il 33enne di omicidio volontario aggravato.

La ragazza che lavorava nella panetteria vicina al palazzo di via Milano 18, in lacrime, ha ricordato: «Quella sera ho sentito un tonfo, sembrava che lui (l’imputato, ndr) e la madre della bimba stessero discutendo con voce alta. Lei è corsa giù. Si è buttata sulla bambina per terra e ha avuto una crisi d’asma. Lei diceva che era colpa sua, lo ha inseguito. Lui è andato al minimarket davanti ed è tornato con la birra». Fatima, che viveva con la mamma al quarto piano di via Milano 18, è “precipitata” nel cortile alle 21.21 del 13 gennaio 2022. Ieri, su un punto, tutti i testimoni hanno confermato: l’imputato era fuori di sé. «Aveva la birra in mano - ha dichiarato una poliziotta delle Volanti. Gliela abbiamo fatta posare a terra. Penso fosse alterato da sostanze alcoliche, biascicava e urlava. Mimava di tagliarsi il collo con qualcosa». «Quando gli agenti lo hanno caricato sull’auto ha sfondato il vetro dietro, ed era ammanettato. Per fare un cosa del genere ce ne vuole», ha commentato un agente della squadra mobile, che ha precisato: «Lo hanno sentito dire alla madre, “ho fatto male alla bimba, adesso mi faccio male io». Nell’appartamento del 33enne, al quinto piano, ha spiegato il dirigente Luigi Mitola, erano poi stati trovati «residui di sostanze stupefacenti e bottiglie vuote». Poche ore prima del delitto l’imputato era stato condannato per droga. La sera, con tre amici connazionali (di cui due scappati), aveva bevuto e forse assunto pastiglie. In questo contesto è morta Fatima. Sulla caduta, o sul lancio, si danno battaglia accusa e difesa. «La bimba mi è scivolata sul ballatoio mentre facevo il gioco del vola vola», la tesi di lui (difeso da Alessandro Sena), smentita dalla procura e dal tribunale del Riesame che ha confermato, alcuni mesi fa, il carcere per l’uomo. «Ha buttato giù Fatima apposta per punire la madre durante una discussione», la tesi della pm e del tribunale delle libertà. «Lui e la madre stavano litigando e sono venuti quasi alla mani quella sera, i colleghi sono intervenuti a dividerli», ha detto ieri la poliziotta. «Ho sentito alle 21.30 - ha raccontato una vicina di casa - sbattere qualcosa contro la ringhiera e una vocina piccolina che diceva: “Mamma, mamma”. Poi, da un altro punto, ho sentito una donna che urlava, “Cosa state facendo?” e ancora la vocina: "Voglio la mamma"».
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