Nella scuola della gang in trappola: «Bravi ragazzi, ma ce l’aspettavamo»
10 Febbraio 2023 - 07:03
«Victor, Marcelo e Francesco sono bravi ragazzi» dicono all’istituto Zerboni. Ma quasi nessuno si stupisce che i tre membri della gang dei Murazzi si nascondessero fra i banchi dell’istituto: «Ero sicura che fossero dei nostri. Venivano qui i ragazzi di piazza San Carlo e pure quelli che spaccavano le vetrine in via Roma». La riflessione della professoressa Ilaria Naretto lascia l’amaro in bocca ma fa capire il clima che si respira allo Zerboni, una «scuola di confine», come la descrive un altro professore, Roberto Cermignani: è in corso Grosseto angolo via della Cella, a pochi passi dalle case dove vivono i tre ragazzi arrestati per aver lanciato una bici ai Murazzi. Che lì frequentano il corso professionale di meccanica. Il ritratto dei tre «Non possiamo dire che abbiano mai avuto atteggiamenti delinquenziali» premette Cermignani, che li ha tutti e tre nel suo laboratorio di meccanica. La pensano così anche due studenti, Francesco e Achraf: «Hanno fatto una bambinata. Ci spiace per loro, oltre che per il ragazzo colpito. Ma i nostri compagni non sapevano cosa rischiavano». Cermignani, però, racconta che Marcelo aveva svuotato un estintore all’ultimo giorno dello scorso anno scolastico, quando è stato bocciato: «Però Victor è cresciuto, ha fatto dei miglioramenti a cui credevamo tantissimo». Lo dicono anche Achraf e Francesco: «Aveva voti migliori e la fidanzata, era contento». Aggiunge il vice preside, Michele Pastore: «Con Victor parlavo e scherzavo sempre: non è una testa calda, al massimo tornava tardi all’intervallo. Non posso immaginare che lui e gli altri due sapessero costa stavano facendo: lanciare una bici addosso a qualcuno è inqualificabile». Pastore racconta che Francesco, il più piccolo, ha messo insieme una lunga serie di assenze all’inizio dell’anno: «E dopo il 21 gennaio non è praticamente più venuto». Dello stesso ragazzino parla anche Giulia, una compagna: «Ha detto in giro che facevo certe cose in bagno. E si vantava che voleva andare dal padre in carcere». La scuola di confine Secondo molti, non è un caso che gli autori del lancio frequentino lo Zerboni: «Non ci stupisce, in questa scuola è pieno di elementi così» ammettono tre studentesse, Elena, Marta e Martina. Un educatore, all’uscita dall’istituto, si sfoga: «Sono mesi che dico di cambiare scuola al ragazzo che accompagno: è un ambiente tossico, dove lui viene bullizzato». Interviene la professoressa Nardelli: «Sospettavo che fossero dei nostri, si sa che l’utenza è quella che è. Ci sono 18enni che sono ancora in prima e non hanno un minimo di disciplina. La scuola non può fare miracoli ma servirebbero pene più severe: 2 giorni di sospensione non bastano». Considera il vice preside, da 30 anni allo Zerboni: «Quasi metà dei nostri studenti sono stranieri, con 26 nazionalità diverse provenienti da Barriera di Milano e Madonna di Campagna. Facciamo il possibile ma abbiamo classi da 37 ragazzi e qualcuno non frequenta: arriviamo anche a 10 assenti al giorno. Eppure facciamo un grande lavoro e tutti i nostri diplomati trova no un’occupazione. Qualcuno guadagna più di me». Cermignani si sfoga: «Noi accogliamo tutti ma è difficile ottenere risultati quando hai 24 extracomunitari su 32 e ragazzi che arrivano dagli arresti domiciliari. Cerchiamo di insegnare l’educazione civica ma quando suona la campanella non possiamo fare più nulla. E certe volte chiudiamo un occhio: se arrivano alle 9.05, li facciamo entrare anche se non dovrebbero. L’alternativa è che vadano a fare rapine». Il professore, che è anche politico e militante della Lega, lancia un appello: «Questa storia non dev’essere vista come una sconfitta ma come un’occasione per reagire: il ministro dell’istruzione venga a vedere come lavoriamo e ci dia i soldi per fare di più».
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