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La caccia ai trafficanti della strage di Cutro passa anche da Torino

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I sogni di un ragazzino annegati tra le onde sferzate dallo scirocco davanti a Crotone, i ricatti dei mercanti di vite che l’hanno stipato su una barca troppo vecchia e troppo carica di uomini, donne e bambini per affrontare un viaggio come quello. I parenti disperati, che dopo giorni di ricerche adesso hanno almeno un corpo da seppellire e, con gli occhi gonfi di lacrime e rabbia, giurano di voler andare fino in fondo. Affinché i primi colpevoli della strage di Cutro paghino per l’orrendo crimine che hanno commesso. A partire da quello che Muhammad Sabir, pakistano, da 5 anni residente sotto la Mole, chiama “the agent”. L’agente. Ossia il capo dei contrabbandieri di migrantiche ha organizzato il viaggio finito con una barca a picco a cento metri dalla costa e almeno 71 morti in mare. Su quella barca c’era anche suo nipote, Azan Afridi, 15 anni compiuti il 18 febbraio, che proprio quel giorno era arrivato in Turchia da Peshawar, in Pakistan, per prepararsi a un viaggio che avrebbe dovuto concludersi qui. A Torino. Dove Muhammad, fattorino, lo avrebbe accolto a casa sua e l’avrebbe aiutato a realizzare il suo sogno: studiare e diventare un medico.

In Turchia, Azan, è stato accompagnato in aereo dal papà, che ai trafficanti aveva versato una prima tranche: 9000 euro, più altri cinque da pagare a sbarco avvenuto. Al suo arrivo a Instanbul, ha raccontato Abdullah Khan, un altro zio che abita a Greenford, West London, è stato ospitato a casa del contrabbandiere, un certo Mohammed Homayoun Amin, che pare abbia la propria base in un negozio a pochi passi dalla famosa Moschea Blu. E’ stato lui, ad un certo punto, a contattare Khan, spiegandogli che avrebbe dovuto mandarli altri soldi per pagare il cibo del ragazzino. E lui ha eseguito, inviando 150 sterline dal suo conto alla Barclay Bank a due persone indicate come parenti del mercante di uomini. Pochi giorni dopo, la stessa richiesta è arrivata anche allo zio “torinese” di Azan, in maniera meschina. Con un messaggio vocale fatto mandare al nipotino: “Zio - diceva - non mi fanno mangiare». E lui ha effettuato l’invio di denaro da un ufficio di Western Union. Pochi giorni dopo la barca è salpata dal porto di Izmir, diretta in Italia, con quel carico di sogni e di vite che il 26 febbraio è colato a picco tra i flutti.

Ieri, sono stati recuperati i cadaveri di un’altra donna e di un altro bambino. La conta dei morti, per ora, si ferma a 71. Tra le bare bianche, c’è anche quella di Azan. Sopra, una foto del ragazzino che sorride, impettito, vestito elegante a una festa in cui sfoggia una bella cravatta rossa e il telefonino con cui registrava i video pubblicati su Tik Tok. Quel telefonino glielo aveva regalato zio Muhammad, che adesso si dispera e assicura: «Denuncerò l’uomo che ha truffato mio nipote e lo ha fatto salire su quella barca. Non ho paura». Il mercante di uomini, racconta ai cronisti a Crotone, «ha raccontato il falso. Non aveva detto che Azan sarebbe partito con altre cento, forse duecento persone, in quelle condizioni. Ci aveva assicurato che sarebbe arrivato in Italia sano e salvo». Invece è stato caricato su un vecchio caicco malandato, dove ha trovato la morte.

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