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Ventimila poveri in più in fila alla Caritas

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Ventimila poveri in più assistiti dalla Caritas rispetto al pre-pandemia. Nel 2022 sono state 70mila le persone sul territorio della Diocesi di Torino che sono state incontrate e sostenute dalla Caritas e dai suoi oltre mille volontari impegnati nei centri. Un numero che con la fine della pandemia si è stabilizzato, senza però tornare ai livelli del 2019 e che, al contrario, si teme possa aumentare ancora in un prossimo futuro, con la fine del Reddito di cittadinanza e anche per l’affacciarsi sulla scena di un nuovo tipo di povertà: quella di chi ha un lavoro ma che non riesce comunque ad arrivare alla fine del mese. Sono alcuni dei dati resi noti durante il convegno “Gemme di carità che Dio fa sbocciare” che si è tenuti ieri all’auditorium del Santo Volto di Torino, durante il quale è stato presentato dal direttore Pierluigi Dovis il report sull’impegno degli oltre 350 centri parrocchiali di servizio di carità. Le persone di cui è stato possibile analizzare i dati a fini statistici sono state poco meno di 20mila, ma quelle accolte e aiutate sono state molte di più: 40mila a Torino (per la maggior parte nella zona nord e a Mirafiori) e 30mila sul resto del territorio della Diocesi (soprattutto nella prima cintura di Torino). «I nuovi accessi - sottolinea Dovis - sono stati il 53% del totale. Significa che più di una persona su due non l’avevamo mai vista prima del 2022. È evidente che i servizi sociali hanno tirato i remi in barca e la gente si rivolge a noi». L’appello ai politici e alla società civile in generale è stato lanciato direttamente dal palco: «Non si lavori con le forbici ma con ago e filo. La coesione del territorio rischia di fare acqua e anche noi potremmo non riuscire più a supplire a determinate mancanze». «Questo - sottolinea anche l’arcivescovo di Torino Roberto Repole - ci dice come probabilmente la nostra città e la nostra regione senza il servizio generoso di molti cristiani socialmente non starebbero in piedi. Però, nello stesso tempo, mi sembra che questi numeri siano un’occasione per la società civile e per la politica di riflettere se non sia il caso di creare un modello di uomo che non sia soltanto l’uomo che produce, ma l’uomo che è capace di avere cura dell’altro». Una preoccupazione determinata anche da cosa potrebbe succedere in futuro. Più di una famiglia su dieci (885 in valore assoluto) tra quelle aiutate risultano infatti essere aiutate dal Reddito di cittadinanza, che però sta per essere riformato. «La nuova formula - ricorda Dovis - richiede il criterio di occupabilità, ma essere “occupabile” non vuol dire riuscire a trovare lavoro. Secondo i nostri calcoli, le stime nazionali che parlano del 20% di persone che non avranno più il reddito, sono sbagliate. Dovrebbero essere il 33%: ci aspettiamo quindi un aumento di richieste di aiuto da persone che ora non si rivolgono a noi perché hanno il reddito di cittadinanza ma che lo faranno quando ne saranno private». E c’è un ulteriore allarme: sulle 20mila persone prese in esame dalle statistiche, più di un migliaio avevano un lavoro. «Gli stipendi non bastano più. Da noi arrivano piccoli imprenditori, lavoratori a partita Iva, negozianti, che non riescono più ad arrivare a fine mese. E ancora non vediamo altre categorie, tipo i rider: ma crediamo sia solo questione di tempo».
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