l'editoriale
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28 Novembre 2021 - 15:00
«Mentre aspettavamo che l’acqua del nostro caffè diventasse calda, si levò un grido: «I cosacchi! I cosacchi!». Immediatamente, udimmo dei colpi di fucileria e le grida che io avevo già udito il 4 ottobre. Raccolsi in fretta la mia polvere di caffè. Certuni dei nostri fuggivano dal nostro riparo, altri si precipitavano al suo interno. Ci fu il segnale di una inesprimibile confusione. Davanti, tutto il mondo si precipitava sul ponte. È impossibile descrivere il disordine della folla, le grida, le spinte e la brutalità alle quali i fuggitivi si abbandonavano per passare per primi. I fantaccini cercavano di aprirsi un passaggio a colpi di baionetta, i cavalieri a colpi di sciabola, i vetturini a colpi di frusta, con bestemmie gridate in ogni lingua d’Europa. Là, in mezzo a tutto ciò, c’erano le donne e i bambini». Il medico von Ross era alla Beresina, quel 29 novembre 1812, e poté descrivere uno dei più terribili momenti della ritirata di Russia di Napoleone. La ritirata nella neve, costantemente sotto lo zero termico, letteralmente spazzò via il più forte esercito del mondo; Napoleone aveva compiuto un azzardo a sfidare il freddo e le incredibili distanze della Russia. L’inverno, incredibilmente rigido, il più freddo dell’ultimo trentennio, sorprese l’Armée appena all’uscita da Mosca. Era un’armata già debilitata dalla marcia d’andata, sotto un sole massacrante, in una pianura nella quale i cosacchi avevano fatto terra bruciata. Borodino ed altre carneficine avevano decimato ulteriormente gli uomini, che ora marciavano in un inferno di ghiaccio, senza cibo né riparo. Le descrizioni della ritirata sono talmente agghiaccianti da non sembrare vere; ma fu al passaggio della Beresina che avvennero le scene più drammatiche, perché i russi avevano fatto saltare il ponte di Borisov e i pontieri francesi avevano costruito nuovi ponti di legno, gettandosi nell’acqua prossima allo zero, sfidando i lastroni di ghiaccio e l’assideramento. I ponti bastarono a mettere in salvo una minima parte dell’esercito, Napoleone compreso. Tutti gli altri - i feriti, le donne ed i bambini che seguivano l’Armée - rimasero indietro, perché l’ordine era di far passare prima i soldati atti a combattere. Sugli sciagurati che attesero il loro turno dall’altra parte si avventarono i russi; migliaia di persone inermi cercarono di trovare scampo dall’altra parte del fiume, accalcandosi sui ponti di legno, spintonandosi e calpestandosi. Napoleone, resosi conto della vicinanza dell’esercito nemico, diede ordine di incendiare i due ponti, abbandonando così migliaia di donne, di bambini e di sbandati ad una sorte terribile, lasciati nelle mani dei cosacchi, nell’assoluta impossibilità di fuggire verso la Francia. Quella della Beresina è considerata una delle peggiori tragedie della storia militare: Napoleone, è vero, riuscì a sfuggire all’accerchiamento tesogli dai russi, ma i francesi ebbero qualcosa come 25mila vittime.
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