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L'odissea della “Celjuskin” e quel naufragio tra i ghiacci

celjuskin
Attraversare il Mar Glaciale Artico è sempre stato il sogno degli esploratori. Vuoi mettere la soddisfazione di aver compiuto un’impresa epica, sfidando la “tirannide” dei ghiacci del Nord? Un po’ tutti i grandi navigatori dell’Europa settentrionali avevano pensato al “passaggio a nord-est”. Forse qualcuno ci aveva già provato nel Medioevo, tant’è che nei portolani del Trecento compare talvolta un’isola misteriosa confinata nell’estremo nord (era la Novaja Zemlja?). Di sicuro, nessuno era riuscito a muoversi oltre: finita l’epoca calda medievale, nell’Età Moderna iniziò un periodo così freddo che fu battezzato dagli storici “piccola era glaciale”.

Figuriamoci attraversare il Mar Glaciale in questi anni! Nel Novecento, però, le mutate condizioni climatiche e soprattutto la moderna tecnologia permise questa impresa. Gli italiani furono “sul pezzo”, con Umberto Nobile. I norvegesi, con Amundsen. E infine i russi, che avevano il 90% del loro sviluppo costiero sul Mar Glaciale. Il 2 agosto 1933 la nave Celjuskin, piroscafo a vapore sovietico costruito appositamente per l’esplorazione dell’Artico, salpò dal porto di Murmansk diretta verso Vladivostok, cioè verso l’estremo lembo di terra russa al confine con la Corea. Si trattava di una spedizione incredibile: il primo a provare una simile rotta fu, a inizio Settecento, l’ammiraglio danese in quota russa Vitus Bering, che dovette arrendersi e continuare via terra. Invece, l’esploratore russo Otto Jul’evi Šmidt ci riuscì: fu il primo tentativo di percorrere con una nave non rompighiaccio la rotta marittima settentrionale. Il tutto, in una sola stagione, senza fermarsi.

Ovviamente, nel periodo estivo, perché d’inverno sarebbe stato impossibile; e infatti il Celjuskin si trovò imprigionato dal pack e il 13 febbraio 1934 naufragò, stritolata dai ghiacci a poca distanza dall’Alaska, senza mai raggiungere il suo scopo. E l’equipaggio? Immaginate voi di rimanere prigionieri della banchisa nell’anno 1934, pochi anni dopo la disgraziata spedizione di Nobile finita nella tragedia della Tenda Rossa. Bisognava avere nervi ben saldi. L’equipaggio lavorò due mesi sfidando le temperature sotto zero per realizzare una pista per l’atterraggio degli aerei di soccorso. Così, l’aviazione sovietica poté prelevare uno dopo l’altro i naufraghi: i piloti degli aerei che parteciparono alle operazioni di soccorso furono le prime persone a ricevere l’appena istituito titolo onorifico di Eroe dell’Unione Sovietica.

La spedizione del Celjuskin entrò nella “mitologia” sovietica e permise di capire che, con le giuste tempistiche, una nave a vapore poteva attraversare il Mare Glaciale Artico e, quindi, realizzare l’antico sogno del Passaggio a Nord Est. La rotta fu ritentata nel 1935 con successo. E se nel 1905 la sconquassata flotta di Nicola II aveva dovuto circumnavigare l’Africa e l’Asia per raggiungere il teatro di Guerra contro il Giappone adesso i sovietici dovettero compiere un percorso ardito ma ormai considerato sicuro in una specie di “mare interno”. Un fattore determinante per lo svolgimento dell’imminente seconda guerra mondiale sul fronte nipponico.
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