La firma di Cavour sul decreto. E a Torino nascono i bordelli
12 Febbraio 2023 - 08:00
A metà Ottocento Torino era flagellata da una epidemia alquanto licenziosa. Complice la convivenza forzata con i militari che da lì a poco avrebbero varcato il Ticino per prendere parte alla Seconda Guerra d’Indipendenza, la capitale del Regno di Sardegna stava assistendo a un preoccupante prolificare delle malattie veneree. Nel 1857 il ministro degli Interni Urbano Rattazzi fu così costretto a riconsiderare gli studi di Casemiro Sperino, illustre medico già noto per aver fondato l’ospedale Oftalmico, e a introdurre una prima regolamentazione del fenomeno della prostituzione. Provvedimento che pochi anni più tardi lo stesso Rattazzi suggerì al primo ministro Cavour perché fosse esteso a tutto il Regno, dato che la sifilide pareva non far distinzioni tra i soldati di Napoleone III, quelli di Vittorio Emanuele II e i sudditi più viziosi. Il decreto verrà firmato il 15 febbraio 1860 per entrare poi in vigore il primo aprile ed essere vigente fino al 1888, quando verrà sostituito dalla riforma Crispi. Non era certo la prima volta che le autorità provavano a disciplinare il meretricio. Già nel ‘400 il Comune di Torino aveva istituito un postribolo municipale all’interno della Porta Pusteria, mentre nel 1594 Carlo Emanuele I aveva decretato che la prostituzione potesse essere esercitata solo attorno alle mura e comunque lontano dal centro cittadino. È però agli occupanti napoleonici che si deve l’introduzione di una reale “tolleranza” del fenomeno, con il primo censimento generale delle mondane e un loro stretto controllo sanitario. Provvedimenti che meno di mezzo secolo dopo ispirarono l’opera di Sperino prima e di Rattazzi e Cavour dopo. Il regolamento sabaudo, infatti, si basava su tre capisaldi fondamentali: la schedatura delle prostitute, il loro controllo all’interno delle case di tolleranza e una rigida profilassi garantita da visite periodiche e da conseguenti ricoveri nei neonati siloficomi, ospedali specializzati nella cura delle malattie veneree. È evidente che l’opera del governo Cavour fosse fortemente influenzata dalle teorie della contemporanea criminologia. La prostituta è infatti identificata come l’incarnazione del pericolo sociale rappresentato dalla devianza femminile, primo ostacolo al trionfo di quel “corpo sano” dell’uomo teorizzato da Foucault. In quanto tale, chi sceglieva la vita doveva essere sorvegliata dagli apparati della Polizia di Sicurezza e della Sanità Pubblica in un regime di segregazione e isolamento: le case di tolleranza erano lontane dai luoghi del culto e dell’istruzione e dovevano mantenere porte e finestre sprangate (da qui il termine “casa chiusa”). A sovrintendere al tutto, con un ruolo a metà tra il lenocinio e il collaborazionismo con i questurini, era la tenutaria del bordello, che si doveva occupare di organizzare le visite mediche bisettimanali e che tratteneva per sé i tre quarti delle marchette, anch’esse regolamentate per regio decreto: si andava da due lire (circa otto euro di oggi) per un servizio “popolare” per salire a dieci (all’incirca venti euro) per uno “di lusso”.
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